Cauti con i rigassificatori, sì all’energia nucleare

Caro Granzotto, come forse saprà, ogni tanto Il Giornale mi ospita articoli su questioni ambientali di cui mi intendo. Condivido tutte le sue considerazioni sulla Tav e ora vorrei segnalare un altro sacrosanto «no»: quello ai rigassificatori, già presentati da Bersani e Di Pietro, che ne vorrebbero una dozzina (pensi solo che ce ne sono 50 in tutto il mondo e 4 in tutti gli Usa). Anche un solo rigassificatore sarebbe inutile e pericoloso: dovrebbe facilitarci l’uso del gas, mentre per l’Italia sarebbe imperativo ridurlo poiché produciamo energia elettrica al 50 per cento, bruciando prezioso e costoso gas (pensi che Usa e Uk lo fanno al 20 per cento, la Germania al 10 e la Francia al 5). Chi li vuole? Chi, grazie alla delibera 178 dell’Autorità dell’energia (articolo 13) gli «assicura, anche in caso di mancato utilizzo dell’impianto, la copertura di una quota pari all’80 per cento dei ricavi di riferimento». Anche se non sarà mai rigassificata neanche una molecola di gas (come accadrà visto che nel mondo ci sono meno di 20 impianti di liquefazione), gli italiani risarciranno i gestori dei rigassificatori per l’eventuale (certo) fermo di quegli impianti.
Franco Battaglia - Trieste

Professore, mi prende in giro? Sappia che i suoi articoli li imparo a memoria, altro che. E naturalmente il fatto di pensarla, sul mozzicone di Tav Torino-Lione, come la pensa lei, mi lusinga. I rigassificatori, lo ammetto, li ho presi un po’ sottogamba, sarà che alle mattane di Di Pietro ormai ci abbiamo fatto il callo. E strillare che l’Italia ha bisogno di dodici di quegli impianti, quando lei ricorda che in tutto il mondo ce ne saranno una cinquantina al più, è una esemplare, solenne mattana. Non sapevo, però, di quel comma 13 punto 2 relativo agli incentivi stabiliti dalla Autorità per l’energia elettrica e il gas. Sorprendente. Illuminante. Chi costruisce un rigassificatore ha la garanzia che ove non dovesse rigassificare un solo metro cubo di gas si papperebbe comunque l’ottanta per cento dei «ricavi di riferimento». Be’, messa così, chiunque ci farebbe un pensierino. Anzi, dodici pensierini. Quel comma 13 punto 2 sembra poi fatto apposta per destare un altro sospetto, caro professore: mi pare che il prevedere che i rigassificatori potrebbero non rigassificare un bel nulla - eventualità così concreta da dover essere messa a contratto prevedendone l’indennizzo - sia la prova che quegli impianti non servono allo scopo. E cioè, come vanno ripetendo i filorigassificatori, di liberarci dai ricatti, dagli umori, dalle bizze e dalle vassallate dei «padroni dell’energia», siano essi i Putin o gli sceicchi d’Arabia. Assunto che anche senza tirare in ballo il comma 13 punto 2 comunque non regge, perché sempre di gas si parla. Che sia allo stato liquido o allo stato aereo, qualcuno ce lo deve pur fornire e allora tanto vale continuare a succhiarlo dai vecchi, cari gasdotti. E poi non si può continuare ad affrontare il problema energetico (che si traduce in una bolletta di 33 miliardi all’anno) così alla carlona. Puntando di volta in volta sull’eolico, sul fotovoltaico, sui rigassificatori, sulla riabilitazione del carbone, sulle lampadine a basso consumo, sul biodiesel, sul metano prodotto dal meteorismo (e conseguente flatulenza) delle mucche, sulle biomasse, sul riciclo della plastica... tutta roba buona, tutta roba benedetta.

Ma il Paese ha bisogno di 400 miliardi di kilowatt ora all’anno, mica bruscolini. E forse converrebbe smetterla di sognare o di baloccarsi con le energie alternative e affrontare per le corna, una volta per tutte, il toro del nucleare.

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