La cavalcata lunga 20 anni della rivoluzione anti sprechi

Attàccati al tram. Una ventina d’anni orsono, nel corso di un dibattito televisivo, l’allora giovane senatore - il Senatùr - Umberto Bossi, tra il serio e l’ironico era stato molto esplicito di fronte agli incomprensibili sofismi dell'«intellettuale della Magna Grecia», al secolo Ciriaco De Mita, secondo la puntuta definizione di Francesco Cossiga. E gli aveva risposto, un po’ ruvido: tachés al tram. «Attàccati al tram», appunto.
Proprio in quegli anni - e grazie alle «capacità» della classe politica della Prima repubblica - il debito pubblico si avviava a superare il cento per cento rispetto al Pil. E il politico di Nusco si rivelava - tra gli altri (Fanfani, Craxi, Forlani, Goria, Andreotti, Amato, Ciampi) - uno dei campioni di questa impennata. I vincoli comunitari e la necessità di tenere sotto controllo i conti pubblici, indussero la classe politica romana a incrementare la pressione fiscale diretta e indiretta - come sempre sostenuta dalle aree più produttive del Paese, cioè dal Nord - per continuare ad alimentare l’assistenzialismo a favore del Mezzogiorno. Nacque così la Questione Settentrionale di cui la Lega Lombarda, poi Lega Nord, si fece interprete, nel segno della rappresentanza e della tutela degli interessi organizzati del Nord.
Uno dei primissimi - più popolari e più riusciti - manifesti della Lega raffigurava una gallina padana intenta a deporre delle uova d’oro nel cestino sorretto dalle mani di una matrona romana. Tale era nei fatti la fisionomia della Questione Settentrionale; peraltro ancora viva ai nostri giorni, dopo oltre vent’anni, se è vero - come è vero - che ogni anno il Nord stacca un assegno di oltre cinquanta miliardi di euro a favore delle altre regioni del Paese. E tuttavia, dietro la struttura dello sviluppo duale tra Nord e Sud si nascondevano e si nascondono altre fratture. Per esempio l’evasione fiscale (settanta miliardi di euro) e gli sprechi nella pubblica amministrazione (ottanta miliardi), distribuiti in modo disomogeneo su tutto il territorio nazionale. C’è evasione e ci sono comuni che sprecano anche al Nord.
La grandezza del disegno di federalizzare il Paese, sostenuto con determinazione da Umberto Bossi nel corso di questi vent’anni, sta nel fatto che la ricomposizione di tali fratture (da quella Nord/Sud, all’evasione, agli sprechi) possa avvenire solamente attraverso la strada dell’autonomia e della responsabilità. E ciò, sia sul piano fiscale, sia su quello istituzionale: due piani diversi e parimenti legittimi del federalismo, che ha padri nobili e radici teoriche robuste. A cominciare da Salvadori, Chanoux, de Rougemont e gli esponenti del federalismo personalista e integrale.
In origine la proposta venne accolta come una sorta di boutade folcloristica, lo dimostra l’episodio di De Mita. Ma oggi, dopo vent’anni, la strada verso la federalizzazione delle competenze e il più ampio e sistematico decentramento è interpretata come l’unico strumento possibile per risolvere i mali endemici e strutturali del Paese. È solo una felice coincidenza del calendario che ciò accada proprio nel momento in cui la Lega Nord compie vent’anni.
La tappa del federalismo municipale, che in modo piuttosto controverso ha tenuto banco nelle ultime settimane, è l’ultimo tassello che porta a compimento il pacchetto più significativo dei decreti connessi alla legge 42 del 2009, quella sul federalismo fiscale. Al di là delle polemiche successive all'esito del voto in Bicameralina, qualcuno continua a sostenere e a sottolineare che il Centro-Nord - con il federalismo municipale - otterrà più soldi, mentre il Sud assai meno. Osservazione quanto meno stravagante: lo scopo del federalismo è proprio quello di sollecitare una reazione dignitosa che possa contribuire a ridurre la frattura. E a portare i comuni del Sud a ricavare - grazie all’autonomia - le medesime risorse sulle quali possono contare quelli del Centro e del Nord. Insomma, occorre cambiare mentalità nella gestione della cosa pubblica, non ragionare più in termini di trasferimenti né di capacità fiscali. Perché l’unica strada per ridurre le disparità territoriali è proprio quella del federalismo. Ma il bello viene adesso. I processi di federalizzazione non sono mai rapidi e immediati, sono sempre lunghi e articolati, caratterizzati da fughe in avanti e ripiegamenti all’indietro.

Comportano infatti un negoziato continuo tra le resistenze del centro e le ragioni delle periferie. Con il pacchetto di decreti sul federalismo fiscale è cominciata la federalizzazione, avventura istituzionale che caratterizzerà, in futuro e per molti decenni, le dinamiche della politica di questo Paese.

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