Dal Celtic al Boca l’estetica del pallone tra follie e nostalgia

Dal Celtic al Boca l’estetica del pallone tra follie e nostalgia

Che maglia ha il Parma? Bianca crociata? Gialloblù? Gialla? Blu? Boh! Perché l’Atalanta ieri a Catania ha giocato con una divisa completamente nera con un albero di Natale stilizzato sul fianco? Per farci gli auguri? Perché il Bologna ha indossato in coppa Italia contro la Juve una maglietta azzurrina, come se bianconeri e rossoblù potessero confondersi? Sono solo le ultime stranezze cromatiche del calcio del terzo millennio, ormai in preda a una deregulation totale di maglie e colori sociali.
Tra le poche certezze che ci trasmetteva il calcio antico c’era quella delle bandiere, dei colori che non si potevano tradire. Sapevi che la Roma era giallorossa, il Napoli azzurro, il Venezia verde e nero. Adesso accendi la tv e ti può capitare di tutto, anche di tifare per un quarto d’ora per la squadra avversaria... Ti capita di vedere il Barcellona in verde pastello, il Napoli in grigio topo o la Juve in rosa shocking. Roba da discoteca più che da pallone.
Una babele cromatica in cui ha cercato di mettere un po’ d’ordine un volume in libreria in questi giorni, Le maglie dei campioni (edizioni Codice Atlantico), curato con una pregevole ricerca iconografica da Giorgio Welter, produttore di film d’animazione, ma soprattutto grande collezionista. L’occasione per ripercorrere la storia delle maglie di 60 tra le squadre più famose del mondo (con una sola mancanza di rilievo, se ci è concesso: l’Athletic Bilbao), a partire dalla loro fondazione. Una carrellata per stuzzicare la nostalgia del bel calcio (per lo meno dal punto di vista estetico) di qualche decennio fa.
Maglie da leggenda, da brivido, come le righe bianche e verdi del Celtic anni Sessanta, con il numero in grande sui pantaloncini, perché sulla schiena stava male. Oppure il giallonero del Peñarol dedicato al colore delle locomotive dei ferrovieri che l’hanno fondato. O il Liverpool di Keegan e Hughes, quando i Reds erano veramente reds. O l’eterno fascino delle camisetas blancas del Real da Di Stefano a Cristiano Ronaldo.
E poi tante curiosità, legate a ogni club. La maglia dell’Ajax con la banda rossa, disegnata nel 1911 da un allenatore irlandese, tale John Kirwan, ovviamente solo omonimo dell’ex ct del rugby azzurro. Così come un tecnico molto più famoso, Herbert Chapman, l’inventore del sistema, disegnò quelle dell’Arsenal, ispirandosi a un gilet rosso sulla camicia bianca.
Maglie nate per “gemellaggio”, come quella dell’Atletico Madrid, i colcioneros (materassai) a strisce bianche e rosse, club fondato da baschi di Bilbao trapiantati nella capitale e dunque ispirati dal loro Athletic. Oppure nate per caso come quella del Boca Juniors, perché per risolvere i contrasti tra i soci, decisero che la maglia avrebbe avuto i colori della bandiera della prima nave che avrebbe attraccato al molo numero 2 del porto di Baires. Ne arrivò una svedese e i colori furono giallo e blu.
Altre ancora cambiarono nel tempo: il Genoa vinse i primi tre scudetti in bianco e blu, poi inserì il rosso; l’Independiente diventò rosso dopo che in Argentina vennero affascinati dal Nottingham Forest in tournée; il Leeds divenne tutto bianco negli Cinquanta per ispirarsi all’imbattibile Real. Altri invece la scelsero proprio per contrasto, come il Casale che si vestì tutto di nero (i mitici nerostellati campioni d’Italia nel 1914) per distinguersi in tutto e per tutto dalle bianche casacche della Pro Vercelli, padrona del calcio di allora. Altri, come la Sampdoria, per concretizzare una fusione (il biancazzurro dell’Andrea Doria e la striscia rossonera della Sampierdarenese).
Ma il libro si addentra ovviamente nell’evoluzione del gusto estetico: sponsor, nomi sulla schiena, seconde maglie di ogni genere come quella gialloverde del Manchester United, oppure quelle entrate nella storia per le vittorie a cui si legarono: la maglia blu della Juve che vinse la Uefa nel ’77 e la Champions nel ’96, oppure quella bianca con il colletto rossonero del Milan di Wembley ’63, poi riproposta in quasi tutte le finali Coppa Campioni. O quelle stile River, con la banda trasversale, ripresa dal Bologna, dal Torino, dall’Inter ancora oggi.

Sempre meglio di quella improbabile a strisce orizzontali della coppa Uefa vinta con Ronaldo. Ma meno originale di quella bianca a croce rossa (lo stemma di Milano) usata per il Centenario. Segno che anche adesso si può avere qualche buona idea.

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