Cronaca locale

«Centravanti nato», caduta di un campione

Storia di Carlo Petrini tratta dal libro autobiografico «Nel fango del dio pallone»

Nell'aristocrazia sportiva la selezione è più severa che quella dell'aristocrazia venale, perché campioni o quasi campioni si nasce, mentre ricchi si può anche diventare; nel calcio capita fin dalla serie C, almeno rispetto ai coetanei, anche se laureati. Ma gli anni del vigore atletico, che precedono quelli della maturità, talora la inibiscono. Infatti lo sportivo affermato ha chi pensa per lui ed è dura cominciando a farlo da soli a trentacinque anni, quando le telecamere si sono spente e le camere da letto non si sono chiuse, ma non si schiudono più spesso come prima.
Molti hanno saputo delle grandezze del campione o del quasi campione; pochi sapranno delle sue miserie. Quasi campione (una presenza in Nazionale), Carlo Petrini ha raccontato invece sia le une, sia le altre in un libro, Nel fango del dio pallone (ed. Kaos), dal quale è stato tratto un monologo teatrale e ora anche un documentario, Centravanti nato di Gian Claudio Guiducci, che il Milano Film Festival presenta oggi (h 20, cinema San Carlo); repliche domenica (h 20.15, cinema Centrale) e giovedì (h 20, cinema San Carlo).
Già produttore di Novembre, piccolo e riuscito film sull'insurrezione anti-inglese di Trieste nel 1953, il giovane Guiducci ha seguito Petrini nei mesi successivi alla scoperta della grave malattia che lo mina e dal suo libro (di cui nessun grosso quotidiano s'era occupato prima della recensione del Giornale) ha tratto Centravanti nato. In quel ruolo Petrini aveva infatti giocato nel Genoa, nel Milan, nel Torino, nel Varese, nella Roma, nel Bologna e in varie altre squadre fino al 1980 del primo scandalo del calcio-scommesse.
Petrini non finì in manette, ma una lunga squalifica chiuse a trentadue anni la sua carriera in serie A. Abituato a vivere bene, anche se a caro prezzo per il fisico (doping e medicine à gogo) onde dare il massimo in campo, Petrini si trovò ridotto quasi a persona qualunque: aveva visto girare molti soldi facili, quindi pensava che la festa non dovesse finire. S'improvvisò usuraio, prima per conto terzi, poi in proprio, e fu la rovina. Quindi, fuga da Genova, dove Petrini si era stabilito con la famiglia; se ne faceva una nuova in Normandia, almeno fino al dramma del 1995, quando il figlio Diego, diciannovenne, calciatore nella squadra giovanile della Sampdoria, si ammalò e morì senza poter rivederlo. La vicenda finì sulle prime pagine. Passati quattro anni, Petrini tornò dalla madre, nella natia Monticiano (Siena), segnato ormai dai malanni, e scrisse Nel fango del dio pallone. La stampa italiana - già allora più incline alla censura che all'informazione - se ne «accorse» solo quando lo recensì Il Giornale, dissolvendo l'illusione che - prima e dopo lo scandalo del calcioscommesse - il calcio fosse affare di galantuomini. E la magistratura riscoprì, grazie anche a Petrini, una pista che porta a tanti reati: falso in bilancio societario, falsificazione dei documenti degli atleti, droga, truffa, aggiottaggio (certi club sono ormai quotati in Borsa).
Nel 2005 si cercò, in vista dei mondiali, un capro espiatorio: né troppo grande, né troppo piccolo, il Genoa era perfetto per pagare per tutti: per una partita «aggiustata», l'ultima, passa dalla promozione in serie A alla retrocessione in serie C. Ma nel 2006 la diga crollò e la Juventus, per aver alterato non una partita, ma due campionati, passerà dalla serie A alla B. Non era tutta la giustizia, ma era qualcosa. Merito anche di Petrini, della sua collera e del suo ricordo del figlio morto dopo il malore nello spogliatoio. Sensazioni che percorrono Centravanti nato, specie quando Petrini legge il suo In memoria di Diego.

Edito - buffo il calcio - da un arbitro, Attilio Facconi.

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