Roma - Ora la parola «proibita», sia pure con dovuti contrappesi e attenuanti ipotetiche, la dicono in molti: dimissioni. Che cambiamento rispetto al muro compatto che si strinse intorno a Vincenzo Visco solo due mesi fa... una vistosa distonia rispetto al coro solidale che risuonò a Palazzo Madama nel giorno del dibattito in cui il ministro Tommaso Padoa-Schioppa sceso in campo con l’elmetto calato sulla fronte: il clima di oggi intorno al viceministro dell’economia è mutato, soprattutto nel centrosinistra. Dopo l’iscrizione nel registro degli indagati per il «caso Speciale», l’economista si ritrova all’improvviso investito da dubbi, osservazioni critiche, coraggiosi inviti a chiarire la sua posizione.
Ciò che rende più insidiosi i legittimi rilievi dei compagni di schieramento, è il fatto che le critiche a Visco arrivino sia da posizioni «garantiste» che da posizioni «legaliste», sia da sinistra, da destra o dal centro. Per dire: agli estremi opposti, e con argomentazioni altrettanto sensate, sia un radicale come Daniele Capezzone che un dirigente di Rifondazione come Giovanni Russo Spena, sia un centrista riformista come Antonio Polito spiegano che se l’inchiesta andasse avanti Visco non potrebbe sottrarsi. Osserva Capezzone: «Io il problema dei magistrati non lo considero, figurarsi se mi attacco a un avviso di garanzia! Sono un garantista vero. No, il nodo politico. Da mesi Visco continua a non dire, a eludere, a non spiegare quel che è successo e quale sia stato il suo ruolo nella vicenda trasferimenti, carabinieri, eccetera. A me pare questa - spiega il leader radicale - la sua grande responsabilità. E poi, mentre Visco taceva, il governo si è prodotto in una serie di gaffe impressionanti sul caso: prima ha promosso, poi ha rimosso, poi ha tolto deleghe, poi ha sostituito, sbagliando, il decreto! Poi ha messo alla berlina un ufficiale come Speciale... Insomma, un misto di superficialità ed arroganza raro a ripetersi».
Il capogruppo di Rifondazione, invece, non considera l’inchiesta ininifluente. «Premesso che auguro a Visco una risolutiva archiviazione... credo che se questa non dovesse arrivare, il problema dell’indagine non sia liquidabile». Russo Spena è chiaro: «Il principio di responsabilità di un membro del governo è fatto di immagine e di sostanza, un dovere di lealtà con gli lettori: non si può correre il rischio di dare un’impressione di indifferenza, o peggio ancora di arroganza. E quindi - aggiunge - se per l’inchiesta Visco dovesse essere rinviato a giudizio si porrebbe un serio problema politico. Sia chiaro, non penso a responsabilità penali. Credo però che un ministro indagato abbia il dovere di dimettersi, perché quando gli altri non lo fanno, noi giustamente li critichiamo». È chiaro Cesare Salvi: «Ho parlato di auspicabili... dimissioni spontanee. Perché? Perché ad oggi nessuno ha spiegato cosa sia successo fra le Fiamme gialle e Visco. E perché questo clima non aiuta l’immagine del governo».
Antonio Polito, senatore Democratico (area Margherita) è lieve e netto ad un tempo: «Sì, non c’è dubbio, politicamente Visco è nel mirino, anche per il suo ruolo. Ma l’inchiesta è un fatto distinto. Io credo che il problema principale di un rinvio a giudizio sia la libertà della magistratura. I pm devono sentirsi liberi di indagare in maniera tranquilla senza per questo dover mettere necessariamente sotto processo il governo. L’unico modo per evitare il cortocircuito? Le dimissioni. Detto questo, ad oggi anche il rinvio a giudizio è una ipotesi di scuola, e io invece auguro di cuore a Visco che la sua posizione sia archiviata. Fra l’altro - conclude Polito - il paradosso vuole che oggi ci siano meno problemi anche grazie al fatto che gli sia stata tolta la delega!».
Già. Quel provvedimento - a cui Visco si oppose con tutte le forze - fu fortemente voluto dall’Italia dei Valori. Ieri Antonio Di Pietro, forse preoccupato per il precipitare degli eventi spiegava: «Il nostro partito è tutto tranne che masochista e suicida. Sa ragionare con la sua testa, non accetta di farsi strumento del centrodestra». Ma dopo questa premessa ammetteva: «Noi vorremmo che tutti gli indagati si dimettessero, ci sarebbe anche un bel ricambio generazionale. Ma se questo deve valere, deve valere per tutti!».
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