Il Cervino si sbriciola, vetta chiusa agli alpinisti

Oggi i primi lavori per mettere l’area in sicurezza, domani forse la riapertura

Lorenzo Scandroglio

da Cervinia (Aosta)

Martedì sera Cervinia tremava sotto il rombo continuo di 2 elicotteri le cui pale fendevano l’aria per la frenetica evacuazione della Capanna Carrel, ai piedi della via italiana del Cervino. Erano le 19,45. Pioveva. Noi ci trovavamo a poca distanza, nei pressi del rifugio Duca degli Abruzzi, a quota 2800, ovvero un migliaio di metri sotto. Sulle prime - e finché non siamo scesi in paese - abbiamo pensato a un soccorso alpinistico. Poi abbiamo saputo e capito. Una frana. Il caldo, quello stesso caldo che attanaglia le città e che si insinua fin sotto le pietre delle montagne a sciogliere il ghiaccio, il cemento che tiene insieme le porzioni più friabili. Un crollo, l’ennesimo quest’anno sulle Alpi (come già nell’estate-record del 2003), che ha fatto tremare le pareti della Capanna dedicata a Jean-Antoine Carrel e mandato in agitazione i suoi 24 occupanti che l’indomani avrebbero dovuto scalare la montagna simbolo delle Alpi. Ora, in attesa che i lavori di bonifica e disgaggio rimettano in sicurezza l’area, è stata emessa un’ordinanza di divieto di accesso esclusivamente per la zona dei lavori. Da domani, se non ci saranno brutte sorprese, semaforo verde di nuovo.
Una frana, questa, il cui tremore è stato avvertito ben oltre i confini della Val d’Aosta. Il Cervino d’altronde si sa, è il Paramount mondiale della montagna e tutto ciò che avviene nelle sue vicinanze, nel bene e nel male, si impenna e ingigantisce a dismisura, acquisisce le dimensioni che gli specchi convessi conferiscono alle cose. Il Cervino è lo specchio convesso. Qui i personaggi, le gesta, le imprese, giù giù fino alle tragedie, gli incidenti, gli eventi, le frane, sono inevitabilmente più grandi, risuonano a maggiore distanza dei loro analoghi altrove. E non si tratta soltanto di dimensioni. Essi sono paradigmatici. Quello che avviene qui, grazie appunto alla sua cassa di risonanza, contribuisce a far capire quello che avviene sulle altre montagne. La domanda allora è questa: perché sulle Alpi, e sulle montagne di tutto il mondo, riecheggia sempre più frequente il boato delle frane, il crollo di torri e pareti spesso consegnate al mito dalle imprese di grandi scalatori?
Gli appassionati di alpinismo ricorderanno il crollo dell’impressionante pilastro Bonatti nei Dru, sul Monte Bianco, così come, nelle Dolomiti, il collasso di una delle Cinque Torri. Per non dire dell’Eiger, nell’Oberland Bernese, il grande orco (questo significa in tedesco Eiger) che domina e incombe su Grindelwald, scalato per la prima volta da Heckmaier e Harrer (l’autore, scomparso da pochi mesi, di Sette anni in Tibet) e reso celebre anche da film di Clint Eastwood Assassinio sull’Eiger: qui i geologi annunciano il crollo imminente di 2 milioni di metri cubi di roccia sul lato orientale, là dove è stata registrata una crepa che si sta allargando di 50 centimetri al giorno. Quanto al Cervino la frana è caduta appena sotto il bivacco dedicato al primo scalatore valdostano, il secondo in assoluto, quel Jean-Antoine Carrel che per 2 giorni si vide soffiare la prima assoluta dall’inglese Edward Whymper arrivato in vetta il 14 luglio 1865. Carrel salì dalla cresta del Leone, cioè quella italiana, Whymper dalla Hörnli, quella svizzera.

Il rapporto di frequentazione è di 20 a 100 a favore della via svizzera, il che significa che di là, nelle giornate buone, ci sono le code, ma anche che è più facile; che di qua il fascino della salita è un altro, che il rapporto tra guida e cliente è diverso, più personale. Ora però la via svizzera è l’unica accessibile anche se, qualora non intervengano fatti nuovi, la cresta del Leone dovrebbe tornare ad essere battuta dagli alpinisti già domani.
lorenzo.scandroglio@tin.it

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