Dallormai lontano 1982, la valorizzazione del patrimonio fieristico italiano passa attraverso una sigla: quella del Cfi, il Comitato Fiere Industria al quale Confindustria ha affidato in via esclusiva la competenza a seguire i problemi relativi alle fiere, alla loro attività e al loro sviluppo. Per adempiere a tale mission, il Comitato riunisce attualmente 32 organizzatori e promotori di manifestazioni dedicate al settore industriale, che vantano in portafoglio circa unottantina di marchi fieristici, la quasi totalità dei quali può fregiarsi della qualifica di internazionale. A livello di distribuzione geografica delle sedi espositive, la parte del leone tocca a Milano con il 47% degli spazi complessivi; seguono Bologna (21%), Verona (15%), Genova (7%) e Firenze (6%). «Lassoluta prevalenza di località dellItalia settentrionale non è casuale - spiega Franco Bianchi, segretario generale del Cfi -, ma dipende dal fatto che praticamente tutte le grandi fiere internazionali sono nate per iniziativa degli imprenditori e delle loro associazioni di categoria. Che, nella stragrande maggioranza dei casi, hanno sede al nord, dove tra laltro storicamente si trovano anche le infrastrutture necessarie per organizzare manifestazioni di ampio respiro».
Nel corso del 2010, un anno ancora pesantemente segnato dalle conseguenze della crisi economica globale, gli associati del Cfi hanno saputo tenere botta, mettendo a segno performance di rilievo e in controtendenza rispetto al complesso del mercato. «A dispetto delle previsioni che parlavano di un calo attorno al 5% - conferma Bianchi -, già nel primo semestre le nostre manifestazioni hanno visto il numero dei visitatori professionali crescere del 5,4%. I trend positivi si sono poi fatti più marcati nel secondo semestre, quando i visitatori sono aumentati dell8,8% e il numero degli espositori ha registrato un +1,4%. E anche la riduzione degli spazi espositivi, che è proseguita nellultima parte dellanno, è stata contenuta in un fisiologico 3,1%». Numeri incoraggianti, quindi. In buona parte dovuti al profilo degli associati al Cfi, quasi sempre caratterizzati da un alto livello di professionalità specialistica e settoriale. Tutto il contrario di quello che avviene per esempio in Germania, dove le manifestazioni vengono organizzate non da privati ma dagli stessi quartieri fieristici, che sono per loro natura generalisti. «Quella della specializzazione è unarma importante - commenta Bianchi -, che permette di competere non solo sulle piazze italiane, ma anche allestero». Ed è proprio linternazionalizzazione uno degli aspetti sui quali il Cfi lavora con più impegno. Una sfida che oggi obbliga gli organizzatori a non limitarsi, come in passato, ad attirare espositori e visitatori stranieri alle manifestazioni che si tengono nelle diverse sedi della Penisola, ma a proiettarsi loro stessi oltre confine, esportando il proprio know-how e i marchi di maggior successo. «Non cè dubbio che le fiere devono ormai imparare a muoversi in una realtà multipolare - conclude Bianchi -.
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