Chailly, un terremoto ritmico sulle note della «Primavera»

Il maestro dirige pagine di Stravinskij e Henze

Alberto Cantù

da Milano

Duro e puro, Pierre Boulez nonostante i suoi ottant’anni, si confronta ogni stagione con quella sfida che è per ogni direttore o ogni orchestra la Sagra della primavera di Igor Stravinsij: sfida nonostante i cento e passa anni da classico del XX secolo. Un terremoto ritmico, armonico e di sonorità «abominevoli», un brano barbarico (ma, come oggi ben sappiamo, con passi legati alla tonalità) pari alla bagarre che il lavoro scatenò a Parigi nel 1913. Nei suoi due decenni e passa di vita ed opere, la Filarmonica della Scala aveva affrontato la partitura stravinskijana sette volte: con Claudio Abbado, Bernstein, Maazel, Ozawa, Gergiev e Chung. L’ottava è stata ieri l’altro, per la stagione istituzionale al Piermarini, direttore Riccardo Chailly per cui Novecento e musica d’oggi sono nutrimento. Tanto che ammonisce: «La distrazione verso la musica contemporanea vedrà nella generazione dopo la nostra un vuoto culturale».
Discorso che non vale certo per il programma offerto al pubblico del teatro scaligero lunedì: Novecento (anche il Secondo, celeberrimo concerto per pianoforte di Rachmaninoff: 1900 spaccato) e musica d’oggi: i Cinque messaggi per la regina di Saba di Hans Werner Henze, festa per i suoi ottant’anni e prima per l’Italia nonchè musica teatralissima anche a non sapere che tratta di un’elaborazione per la sala da concerti di pagine dall opera L’Upupa, tenuta a battesimo a Salisburgo nel 2003. Anche Henze è un classico del Novecento: mirabile per come armonizza passato e presente, autore di quel Boulevard solitude che ha lo stesso peso storico - che so - della Carriera d’un libertino di Stravinskij.
Stravinskij, appunto. La Danza sacrale che chiude la Sagra venne ritenuta, a suo tempo, il delirio d’un pazzo e comunque ineseguibile per come in un ritmo così veloce ogni battuta richiede una diversa pulsazione ritmica. Oggi non è più così ma c’è modo e modo di affrontare la pagina. Chailly e la Filarmonica l’hanno fatto gettandovisi dentro ma con una implacabile esattezza, con un gusto «fisico» del suono, una «confidenza» che ci paiono traguardi significativi.
Anche Henze - quattro danze e in mezzo uno slargo lirico capace di forti crescendo emotivi - sotto la bacchetta di Chailly diventava una pagina «di successo». Per non parlare di un brano nato per strappare i consensi come il Secondo di Rachmaninoff. Sul solista, il ventiquattrenne cinese Lang Lang, tutti giurano miracoli. È certo un pianista nato - applausi a pioggia - e basta l’immedesimazione nel suono (quasi il pianoforte suonasse da solo) del celebre attacco. Noi abbiamo notato un tessuto orchestrale di voluttuoso, sensuale, spiegato sinfonismo cui non rispondeva un solista dai modi assai cincischiati, tutto preziosità, arabeschi, miniature da orafo senza però l’idea globale della partitura. Controprova il bis: un Sogni dalla Scene infantili di Schumann dall’estenuato bamboleggiare.


All’inizio, come in Senso di Visconti, un grido «Questa è una città» e il lancio risorgimentale (anzi elettorale) di volantini dell omonimo gruppo di «46 candidati esterni, né di destra né di sinistra» per il rilancio di Milano.

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