Cultura e Spettacoli

CHANDLER Conservatore, finto rude e molto british

Torna l’opera completa dello scrittore americano che deve la sua fortuna più al cinema che all’editoria

Meno si pubblicano buoni autori nuovi, più si ri-pubblicano buoni autori vecchi. Giusto: ma perché ri-tradurli, come se si potesse distinguere uno scrittore dal lessico del suo tempo quando, contemporaneamente, lo si promuove a classico? I romanzi di Raymond Chandler erano ben scritti da lui e ben tradotti - da Del Buono o da Oddera o da Veraldi - già quando uscivano a metà ’900 nei Gialli Mondadori. Vent’anni dopo, i Meridiani Mondadori non se ne accorgono e preferiscono puntare su Hemingway, anche lui americano, popolare, europeizzante e nato a fine Ottocento.
Strano: cinquant’anni dopo - coi Meridiani Mondadori - Hemingway esce in edicola per un euro quando per quarantacinque, sempre coi Meridiani Mondadori, Chandler campeggia in libreria coi Romanzi e racconti (a cura e con un saggio di Stefano Tani, pagg. CLXXX-1654). Soppesando, come il suo alter ego Marlowe faceva con la pistola, il cubo di carta india del volume I, Chandler sorriderebbe del valere in Italia quarantacinque volte Hemingway. Per un’indagine Philip Marlowe s’accontentava di meno: venti dollari al giorno agli inizi, quaranta alla fine della carriera. Più spese, naturalmente.
Cosa fatta, capo ha. Vediamo dunque perché tornare su Chandler e spendere tanto per tre suoi romanzi (Il grande sonno, Addio, mia amata, La finestra sul vuoto), ora nella versione di Laura Grimaldi, e quattordici suoi racconti, ora nella versione di Sergio (alias Alan D.) Altieri. Perché queste traduzioni sono di professionisti capaci di rendere il senso di stanca rabbia che percorre Chandler, dunque Marlowe. La differenza fra il loro stile e quello dei precedenti traduttori non urta; urta caso mai quella fra le vecchie versioni mondadoriane dei romanzi di Simenon e le nuove adelphiane.
Confrontiamo l’incipit del Grande sonno (1939). Così Chandler annuncia la comparsa di Marlowe, secondo Del Buono: «Erano quasi le undici di una mattina di mezzo ottobre, senza sole e con una minaccia di pioggia torrenziale nell’aria troppo tersa delle colline». E così Chandler annuncia la comparsa di Marlowe, secondo la Grimaldi: «Erano pressappoco le undici di una mattina di metà ottobre, con il sole velato, e sulle colline un bagliore che preannunciava pioggia a rovesci». Così Chandler fa parlare Marlowe di se stesso, secondo Del Buono: «Portavo un completo azzurro polvere, con cravatta e fazzolettino blu scuro, scarpe nere e calze nere di lana, con un disegno a orologi blu scuro. Ero ordinato, pulito, ben rasato e sobrio, e non me ne importava che la gente se ne accorgesse. Sembravo il figurino dell’investigatore privato elegante. Andavo a far visita a quattro milioni di dollari». Così Chandler fa parlare Marlowe di se stesso, secondo la Toscano: «Mi ero messo l’abito azzurro polvere con camicia, cravatta e fazzolettino blu, scarpe nere e calze di lana nera con una fantasia di orologi blu. Ero in ordine, pulito, rasato e sobrio, e non me ne importava che lo si notasse o no. Ero esattamente quel che ci si aspetta da un elegante investigatore privato. Andavo a far visita a quattro milioni di dollari».
Differenze di sfumatura, non di sostanza. Dalla ri-lettura dell’opera complessiva si percepisce invece nettamente come Chandler cannibalizzasse i suoi scritti. Molli e ingarbugliati i racconti, dunque, scritti prima (spesso per la rivista Black Mask), per i quali Altieri può solo «asciugare» la versione di Del Buono, non migliorare la qualità del Chandler alle prime armi. Secchi e sempre ingarbugliati i romanzi: impossibile talora capire chi ha ucciso chi. Chandler stesso l’ammette con Howard Hawks, che nel 1946 dirige il film tratto dal Grande sonno: non ne sa più del lettore; regista del rifacimento, intitolato Marlowe indaga (1978), Michael Winner non si pone nemmeno il problema, ma ha per protagonista Robert Mitchum che - fin da Marlowe il poliziotto privato di Dick Richards (1975), terzo film tratto da Addio, mia amata - è un Marlowe superlativo. Comunque, dette da Mitchum o prima da Bogart, le battute di Chandler restano magistrali. La sua critica della società californiana resta una delle più acute fra le tante che ce ne sono. Ma anche i film tratti dai suoi libri vengono girati in California e da gente che in California abita. Sceneggiatori e registi smussano così le parti al vetriolo.
Chandler subisce. Guadagna molto più coi diritti cinematografici che con le copie in libreria. È più adattabile e meno velleitario di Dashiell Hammett, anche lui incluso recentemente nei Meridiani mondadoriani con nuove traduzione di Altieri (e qui ce n’era bisogno), nell’intento di far capire che i classici della letteratura americana non sono solo quelli premiati col Nobel.
Di Hammett, altro reduce di Black Mask, Chandler filtra il meglio: dalla sua rude prosa ne trae una finto-rude, in realtà finissima. Sono accomunati dallo scrivere storie a sfondo poliziesco e dall’interessarsi ai personaggi e all’ambiente più che all’intreccio e all’epilogo. Ri-leggendoli, il loro antagonismo è però evidente: non conta quello professionale, comunissimo fra scrittori, come in ogni mestiere; conta quello antropologico. Un progressismo all-american spinge Hammett a frequentare radical-chic, a sposarne una, a incappare nel maccarthismo e, alla fine della vita, a chiedersi chi gliel’avesse fatto fare; un conservatorismo filobritannico tiene Chandler alla larga dai radical-chic e lo rende amico di un loro antagonista, il britannico Ian Fleming.

Già, nulla come ri-leggere in parallelo le storie di James Bond e quelle di Philip Marlowe mostra come Bond sia un epigono britannico di Marlowe, innamorato dell’America; e Marlowe sia un americano continuatore dell’hammettiano Sam Spade, ma innamorato della Gran Bretagna.

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