Che papà Giovannino!

C om’era Giovannino Guareschi in famiglia? Per rispondere a questa domanda, che si sono sentiti rivolgere migliaia di volte, i figli Alberto e Carlotta hanno curato un volume in libreria in questi giorni La famiglia Guareschi. Racconti di una famiglia qualunque 1939-1952 (Rizzoli, pagg. 1428, euro 32). Primo di due tomi, questo raccoglie gli scritti di ambientazione famigliare del papà di Don Camillo pubblicati in origine su Bertoldo, Candido e Corrierino delle famiglie. Molti non sono mai stati raccolti in volume.
Si parte con il Guareschi milanese, sono gli anni di Bertoldo. A Giovannino non sfuggono le opportunità della grande città, ove chiunque può almeno «sognare di diventare qualcuno». Ma egli non rinuncia a una sana ironia sugli aspetti comici di un mondo, quello delle lettere soprattutto, inutilmente pomposo. Si susseguono quindi appunti insieme leggeri e spietati. Come questo: «Oggi, capitato per errore in un celebre ritrovo di artisti e scrittori, ho assistito al colloquio di due fra i più potenti campioni della letteratura contemporanea. A un bel momento uno dei due ha esclamato: “Tu che hai tanta fantasia, perché non mi dai l’idea di una bella trama avventurosa? Devo scrivere le mie memorie e non so che dire”».
I fatti, anche quelli apparentemente piccoli, della famiglia Guareschi sono in fondo la biografia della famiglia italiana tout court. La «difficile» scelta della tappezzeria, le domande a bruciapelo dei bambini («Babbo, sei onesto?»), le preoccupazioni per i figli («La Carlottina ... ha appena due anni e mezzo e ha già imparato a sputarmi in faccia. Ciò mi tranquillizza, è una bambina normale»). Il ruolo di padre è sempre complicato, si apprende cammino facendo. Guareschi insegna la coerenza senza troppe parole, anzi: col silenzio. Il diario famigliare infatti a un certo punto tace, si interrompe. Sono i giorni successivi all’8 settembre 1943. Guareschi è militare e sceglie di incamminarsi verso il lager in Germania. Una scelta dolorosa ma anche una bella (anche se atroce) lezione di vita.
Alcune pagine sono capolavori di umorismo. Quando nel luglio 1940 la moglie e i figli sfollano, Guareschi, rimasto solo, reagisce con un sorriso: «Entrerò in casa scivolando sul pavimento come sul ghiaccio, accenderò tutte le lampade, tutti i becchi del gas, il ferro elettrico, la caffettiera». Ah, la libertà di concedersi la massima trasgressione: «Mi pulirò le scarpe con le tendine delle finestre, tirerò fuori dal buffet il famoso servizio di gala e lo mettero nel gabinetto. Porterò il letto in mezzo alla stanza e dormirò a rovescia. Sputerò sul soffitto.

Sarò finalmente padrone in casa mia». Quanta malinconia può nascondere un sorriso? Tanta. Perché in realtà Giovannino si trasferisce subito in un alberghetto dove lo prende il rimorso: «No, non potevo lasciare sola mia moglie, poveretta. Era egoismo».

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