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Chi vuol salire sull’Everest ormai deve mettersi in fila

Chi vuol salire sull’Everest ormai deve mettersi in fila

Lorenzo Scandroglio

Simone Moro è sulla cima più alta del mondo. È sull’Everest (8.848 metri): ha raggiunto la vetta sabato scorso e ora si trova al campo base tibetano, dove deve risolvere alcuni problemi burocratici essendo sprovvisto di visto cinese. E così un altro uomo ce l’ha fatta. Allora viene da chiedersi se mai esista ancora la barriera dell'impossibile. Se il suo abbattimento sia solo un'illusione, frutto di una strana distorsione prospettica, come quella operata dagli specchi ricurvi, oppure se sia un fatto reale. Oppure, ancora, se la sua soglia si sia spostata così tanto da non sapere più nemmeno dove sia. Nello spazio? O forse annidata in qualche insospettabile piega del banale?
Certo è che, per tornare alla cronaca, Mark Inglis, privo di entrambi gli arti inferiori e provvisto di protesi hi-tech con tanto di ramponi, ha calcato le nevi perenni della calotta sommitale del tetto del mondo. Non senza imprevisti, come quando si è rotto l'ancoraggio di una corda fissa e, durante una pericolosissima caduta che Mr. Mark è riuscito miracolosamente ad arrestare, una delle due protesi è andata in pezzi: al che il nostro si è visto costretto a ridiscendere al campo base per sostituire il prezioso pezzo, come si fa con le gomme ai box dei grand prix. Pit stop e via, si riparte. Testa dura e gambe d'acciaio, Mark Inglis alla fine ce l'ha fatta.
Poi, sempre in questi giorni, l'ambita cima è stata raggiunta dall'uomo più vecchio mai salito prima. Si tratta di un giapponese di 70 anni, Takao Arayama, che ha battuto il precedente record detenuto da un suo connazionale, Yuichiro Miura, che vi riuscì nel 2003 ma che è più giovane di soli tre giorni. Quest'ultimo, raccogliendo il guanto della sfida, ha rilanciato, promettendo che nel 2008, all'età di 75 anni, tenterà una nuova scalata. Un vero monte dei miracoli, altro che Everest.
Quella stessa montagna che, per andare alle origini, nel 1922 costò la vita a 7 sherpa, e 2 anni dopo, ai britannici Mallory e Irvine. Vicende leggendarie, non prive di fascino, non fosse che i numeri di oggi sembrano ridicolizzarne l'epopea, culminata il 29 maggio 1953 con la prima salita ad opera del neozelandese Edmund Hillary e dello sherpa nepalese Tenzing Norgay che salirono per la corona britannica.
Oggi le cifre dell'Everest sono da capogiro, e non è un caso, considerato che ormai è possibile effettuare l’ascensione acquistando pacchetti tutto compreso presso agenzie specializzate. «Parlare di alpinismo in certi casi secondo me è improprio - rileva Simone Moro - perché in realtà si tratta di un gioco a entrare nel Guinness dei primati: il primo cieco, il primo all'indietro, il primo obeso, il primo saltando su una gamba». La lista potrebbe continuare così, senza discostarsi troppo dalla realtà: il più giovane, il primo trinariciuto, il primo marziano, il primo pesce rosso...
Ovviamente questo è possibile solo su certe montagne. Si scopre così che le ascensioni compiute all’Everest, tanto per fare dei paragoni, sono dieci volte tante quelle effettuate al K2, e il motivo non va ricercato semplicemente nell’intrinseca maggiore attrattiva che esercita il tetto del mondo. Per intenderci, al 25 maggio 2002, sull’Everest, erano state compiute ben 1659 ascensioni. Alla stessa data il numero di incidenti mortali sull’Everest, assommava 175 vittime, con un rapporto di poco più del 10% rispetto al numero di conquiste della vetta contro un 30% di incidenti letali al K2 o il 40% all'Annapurna, altri due 8000 ben più impegnativi. Sull'Everest mancano i numeri ufficiali del 2003, del 2004, del 2005, e il definitivo del 2006.
Certo è che la cifra supera ormai abbondantemente le 2.

000 unità, con un'accelerazione iperbolica a partire da inizio anni '90, quando cioè è scoppiata la moda delle spedizioni commerciali organizzate da agenzie che hanno annusato, con ragione, il business.

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