«Chi vuole la verità, anche se scomoda, merita lodi»

Giampaolo Pansa da un po’ di tempo viene compiendo un suo originale «lungo viaggio attraverso la Repubblica» (originale, viste le posizioni dalle quali è partito). È innegabile il valore di questa esperienza volta a portare alla luce le nequizie (nascoste) di una «guerra civile» che, configurata come guerra di Liberazione, è divenuta il mito fondante la Repubblica stessa. Mito, diciamolo senza false remore, valido ad uso puramente interno. Chi possiede una sufficiente onestà intellettuale non ha che da andare a leggersi i trattati di pace fra vincitori e vinti e non avrà alcuna difficoltà a riconoscere che a guerra finita le potenze vittoriose non ebbero a riservare alcun trattamento di riguardo all’Italia nel suo complesso, deludendo le attese dell’arco costituzionale (che evidentemente si aspettava ben altro).
L’aspetto internazionale va riguardato con particolare attenzione perché già da tempo dovrebbe aver reso edotti gli italiani (salvo quelli poco capaci di intendere e ancora meno di volere) circa il reale andamenro delle cose (durante e dopo lo svolgimento del secondo conflitto mondiale). Naturalmente nel corso dei decenni è subentrato nella penisola - simile ad una cappa di piombo - un clima filisteo che sinceramente continua a sorprendere. È evidente in questo caso che è stata all’opera insistentemente una sorta di complicità (collettiva) nell’ambito della «classe dirigente» che ha trovato comodo mantenere la «vulgata» resistenziale nei termini in cui è stata posta, cancellando - di fatto - per decenni la parola «patria» (avendo sicuramente timore di un giusto e inevitabile risveglio nazionale). Di questo in effetti si ha sostanzialmednte paura e lo si vuole ritardare in ogni modo, favorendo nella cultura spicciola trasmessa dai mass media un sentimentalismo piagnucoloso volto allo scopo di indebolire i risoluti e di mantenere gli irresoluti nella loro infelice condizione.
Detto questo nessuno deve pensare di ritenere (sotto questo profilo) questione di scarsa importanza la realtà drammatica degli anni di guerra, la caduta del fascismo, l’invasione della penisola e la disintegrazione di un centro unitario di governo nel paese. Compiere lungimirante ed equa analisi di simili avvenimenti (attraverso l’opera di storia) comporta però il raggiungimento di una posizione critica distante dall’inclinazione tutta italiana alle lotte paesane (ancorché innescate da conflitti mondiali). Comporta altresì la fine di quella assolutizzazione del «fascismo» come «male» che tormenta sia coloro che di tale cibo si nutrono sia coloro che simili nutrimenti schivano. Per essere ancora più chiari: tutti quelli che si alimentano del «fascismo» (in negativo, avversandolo, e sono i più; ma anche coloro che sparutamente lodandolo se ne alimentano in positivo) traggono sostentamento da un «mito» ingessato (rispettivamente diverso). Essi vivono di un fantasma che è comunque ormai decomposto e lo rimasticano così come i vampiri (secondo una leggenda lugubre) divoravano i morti.

C’è da augurarsi che gli italiani si volgano decisamente a seguire ben altro orientamento. Meglio di tutti ha detto Goethe: «Viva chi vita crea!». In questo senso coloro che si volgono al nuovo e sono insofferenti delle persistenti giaculatorie, meritano lode. Giampalo Pansa è fra quelli.

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