Dal chiostro alla foresta

Dal chiostro alla foresta

Al termine dei loro racconti, i cronisti medievali erano soliti apporre la frase «finis coronat opus». Così sancivano la conclusione dell’opera, con la coscienza a posto e l’ottimismo di chi vuol dire: «Ecco, anche questa è fatta, e ora passiamo ad altro». L’espressione segnalava anche un certo distacco dal contenuto della ricerca, l’emancipazione dell’uomo dal proprio lavoro.
Alle ultime cinque pagine del suo Il Medioevo giorno per giorno (32º volume della «Biblioteca storica medievale», in edicola da domani con il Giornale), Ludovico Gatto ha dato proprio questo titolo: «Finis coronat opus». Si tratta tuttavia di un omaggio soltanto formale ai lontani colleghi dell’Età di Mezzo, perché qui l’autore non nasconde che il suo «opus» è tutt’altro che finito, ed elenca ciò che nel libro manca o non è stato approfondito a sufficienza. La cosa gli fa onore ma è indubbio che nelle 525 pagine precedenti egli abbia saputo dare un quadro completo dei secoli che ormai pochi miopi osservatori si ostinano a definire «bui».
Quella per la «microstoria» è a ben vedere una passione insidiosa, una lama a doppio taglio. Rischia di far cadere sia chi scrive sia chi legge nel limbo dei quadretti di genere, perdendosi dietro ai particolari e dunque smarrendo la visione d’insieme. A volte l’aneddoto prevale sull’evento epocale, la «miniatura» toglie luce all’affresco complessivo, la psicologia di un personaggio di contorno pone in secondo piano il comune sentire. Ma seguendo l’esposizione di Gatto non corriamo questi pericoli. Se ad esempio apprendiamo che il bosco di Pakenham, nell’odierno Suffolk inglese, nutriva un centinaio di maiali nell’XI secolo e meno della metà verso il 1217, ci viene anche spiegato quali sono le dinamiche sociali che hanno portato all’impoverimento delle terre e all’incremento del numero dei fuorilegge, rifugiatisi proprio in quelle selve. Se ci si sofferma sui regolamenti carcerari nella Milano dei Visconti (con i decreti che nominavano i medici chiamati a riparare le ossa fratturate dai torturatori), lo si fa per chiarire che il sovraffollamento nelle galere era un problema anche allora. Se si sottolinea che i Comuni italiani vietavano la vendita delle specie ittiche più pregiate e gustose durante la Quaresima, lo scopo è indicare l’esistenza di una politica dei prezzi tutto sommato lungimirante.
A tavola e a letto, in pellegrinaggio o al mercato, a dorso di gracili muli o di superbi destrieri, nel silenzio del chiostro o nell’agone della battaglia, l’Uomo medievale sente dunque scorrere sulla propria pelle dieci secoli che oggi, negli anni Duemila della globalizzazione e dei particolarismi, sembrano il ritratto di un altro mondo. Un mondo in cui, soprattutto, spazio e tempo, prima che dimensioni del vivere, sono coordinate spirituali, poiché il divino ha sempre la meglio sul terreno. Ma già il benedettino Raterio, divenuto vescovo di Verona nel 931, scrisse, durante la successiva prigionia a Pavia, un’opera intitolata Praeloquia, dove, come ricorda Gatto, rileva «che se la meta celeste può essere la medesima per ogni uomo, non così deve considerarsi la vita terrena che a quella conduce. Ognuno - egli dice - può e deve vivere “criticamente” nel suo ambito: giudici e commercianti, artigiani e militari, ricchi e mendicanti, padri e figli, uomini e donne, sovrani e vescovi, sono singoli come i loro doveri e le loro angosce, contraddistinti da un diverso ritus vivendi e da una diversa storia, frutto di grandi ma più spesso di piccoli e di per sé poco significanti momenti ed episodi».
È, questa, una lezione laica che ci proviene da un religioso, un modo pluralista di intendere la vita che ritroviamo anche negli storici di oggi, attenti sia alla «macro» sia alla «microstoria». Fra questi c’è anche Gatto. Il quale individua la differenzia sostanziale che separa i nostri tempi da quelli della media aetas. Perché «nel Medioevo si tende a valorizzare una forma di coscienza collettiva che investe generalmente i fedeli e le loro anime. Salvezza e dannazione sono i due momenti che in questo senso contraddistinguono l’orientamento del pensiero dal secolo V al XV».


Al termine del Medioevo nessuna mano scrisse in calce al grande libro di quella storia millenaria la formula «finis coronat opus», ma noi oggi sappiamo che un mondo si chiuse davvero. E che rileggere quel grande libro ci è utile per scrivere le nostre pagine.

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