Ci mancava pure la retorica del farro antifascista

Caro Granzotto, «Vita in campagna», una rivista molto seria ed alla quale in famiglia siamo abbonati da molti anni, nell’ultimo numero parla del farro. Cito testualmente: «... Purtroppo la sua coltivazione nel ventennio fascista è stata molto avversata, poiché il farro era considerato una pianta poco produttiva e di difficile lavorazione in contrasto quindi con i principi di autarchia dettati dal regime. Nonostante la “guerra” che gli era stata dichiarata (battaglia del grano) questa coltura è comunque sopravvissuta...». Cosa ne direbbe di smuovere le coscienze, di chiamare a raccolta i membri della cosiddetta «società civile», magari resuscitare dalla catalessi il (le maiuscole sono d’obbligo) Comitato Permanente Antifascista Per La Difesa Dell’Ordine Repubblicano? Non vorremo negare una patente di fulgido antifascismo ad un cereale che ha dovuto subire tutti questi soprusi, che diamine!


Mancava solo una piccola eppure significativa precisazione e l'articolo da lei citato, caro Parodi, sarebbe stato perfetto. Bastava aggiungere che Mussolini dichiarò sì guerra al farro, ma era di quel democratico cereale che si nutrivano i partigiani lassù sulle montagne, durante la così detta guerra di Liberazione. Ma perché? Perché a un periodico come «Vita in campagna» gli viene l'uzzolo di dar prova di antifascismo agricolo e ortofrutticolo? Arrivando a sostenere che nel Ventennio non si coltivò il farro perché fuori dai canoni autarchici? E la storia che la Battaglia del grano fu una battaglia anti-farro? Una fregnaccia del genere non l'avrebbe pronunciata nemmeno Pertini dopo il 25 aprile, e sì che in quei giorni di fregnacce se ne spararono tante. Poi arriva «Vita in campagna» e, non sapendo come altrimenti elogiare un cereale che da secoli e secoli è trascurato in favore del più produttivo, più nutriente, più digeribile frumento, gli appiccica addosso l'etichetta di antifascismo. Tanto, una più una meno che differenza fa?
Ha ragione lei, caro Parodi. Bisogna attivarsi, bisogna mobilitarsi, far pressioni sul governo e su Oscar Luigi Scalfaro in particolare invitandolo, nella sua qualità di presidente dell'Associazione nazionale partigiani (mai fatto il partigiano, lui), a provvedere affinché al farro sia restituita dignità di antifascista della prima ora. Decorandolo di medaglia d'oro alla Resistenza. Giorgio Napolitano ne ha testé assegnata una a Bari, al merito antifascista e, pensi lei caro Parodi, per «il grande contributo dato alla guerra di Liberazione». Se tanto mi dà tanto, il farro di medaglie ne merita due, se non tre. E d'altrettante almeno è degno «Vita in campagna», non foss'altro che per la spavalda sicurezza con la quale ha sfidato, tessendo le lodi antifasciste del triticum dicoccum, l'uragano di suoni emessi con forte soffio a labbra serrate con la lingua protratta in fuori o premendo sulla bocca il dorso o il palmo della mano.

Suoni il cui nome al momento mi sfugge, ma che tutti conoscono per esser stati magistralmente generati al femminile - desinenza «acchia» - dal principe Antonio de Curtis, in arte Totò, e al maschile - desinenza «acchio» - dal Maestro Eduardo De Filippo, in arte Eduardo.
Paolo Granzotto

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