Ci salveranno le autostrade del mare

Chi è nato al mare lo sa: di fronte c’è il mondo. Ci si imbarca e si va. È uno stile di vita, un’attitudine, una chiave di lettura dell’esistenza. Fuga? I marinai tornano sempre. Si va verso qualcosa che non si vede, navigando su qualcosa che sembra uguale in ogni posto. Si va per arrivare, per mettere comunque i piedi sulla terra perché camminare sul terreno ti fa venire sempre voglia di navigare di nuovo. Non siamo tutti i protagonisti di Novecento: «Perdonami amico ma io non scenderò da questa nave, non scenderò... al massimo, posso scendere dalla mia vita». Ci imbarchiamo per sbarcare e per rimetterci in mare. Chi lo ama e chi no, chi lo conosce e chi no. È una splendida malattia. È passato, è futuro. Forse è anche l’unica salvezza. Perché il Mediterraneo ha creato la nostra civiltà e se la vuole portare in giro sulle sue onde ancora per un pezzo. Domani. Quello che ogni marinaio, giovane o vecchio, esperto o inesperto, capace o incapace, chiede a Nettuno ogni volta che si mette a dormine: «Domani». E il nostro domani passa sempre da lì, dal mare. Lo attraversiamo con la testa e con il corpo: sui bastimenti che trasportano merci, sulle navi da crociera per vacanze, sui battelli più piccoli, sui pescherecci, sui motoscafi, sulle barche a vela, sugli yacht di lusso. Non importa dove, non importa neanche se ci finisci direttamente, sul mare, l’importante è sapere che il mare c’è e ci trascina, ci coccola, ci rincuora, ci porta da qualche parte. Non solo noi come persone singole, ma come comunità.
Basta che lo navighi uno e dietro si porta anche chi rimane a terra. Allora bisogna andare sulla banchina di un porto e rimanere un secondo a guardare chi parte. Sembrano i nastri di partenza di una gara dove non c’è vincitore. Immagina che cosa sia questa storia delle «autostrade del mare», il progetto dell’Unione europea parallelo a quello della Tav: se questo deve snellire i trasporti su rotaia, quello mira a sviluppare i collegamenti nel Mediterraneo. Il mare, ecco. Due porti e tra due porti la rotta. Ci hanno raccontato per anni che le autostrade del mare non funzionavano. Nel 2001 la Commissione europea ha presentato un corposo Libro bianco sui trasporti delle merci che delinea un ambizioso programma di azioni comuni da realizzare entro il 2010. Adesso che siamo alla vigilia del 2010 siamo alle soglie della linea da tracciare per vedere dove siamo arrivati. E, al di là, delle cassandre e dei pessimisti di professione, il mare ha scarrozzato tanta gente e tanta merce. Dal 2002 a oggi, nonostante tutto, le Autostrade del mare hanno registrato un incremento nel traffico merci dall'1,5% al 3,5%, e attualmente sono circa 1.500.000 i Tir che usufruiscono dei collegamenti marittimi. Lo dicono i calcoli fatti dall'Associazione Studi e Ricerche per il Mezzogiorno (Srm), che sono stati presentati a Roma il 24 giugno scorso. Poco? C’è chi aveva previsto molto peggio. Perché qui, attorno alle autostrade del mare c’è una divisione incredibile tra chi ci crede e chi no, tra chi vuole che il futuro viaggi nelle stive delle navi e chi invece spera che qualcosa non funzioni per dire «io l’avevo detto». Chi si batte per continuare a crederci sono gli armatori. Ci tengono, a queste strade marittime che le loro navi attraversano ogni giorno. È business, certo. Però non solo. Perché prendi uno come Aldo Grimaldi e capisci perché chi vive per l’acqua non può prescindere da questo progetto: «Le autostrade tradizionali, il trasporto su gomma, non è più in grado di assorbire altro traffico merci. Per questo l’unica evoluzione è cercare di trasferire le merci dal trasporto gommato, alle navi. La politica sta aiutando moltissimo chi ha progetti inerenti le autostrade del mare, per esempio l’introduzione dell’ecobonus fiscale ai vettori che utilizzino il trasporto via mare. La politica e la società italiana hanno un enorme problema da risolvere, le infrastrutture tradizionali e i 7000 morti che si portano dietro ogni anno, e premiano chi trova altre rotte». Lo diceva nel 2004, quando nessuno aveva voglia di crederci. Lo dice ancora oggi. Perché l’ecobonus funziona. Esempio: un autotreno a 4 assi, a pieno carico, utilizzando i traghetti della rotta Palermo-Napoli, sosterrà un costo totale di 224 euro contro un costo totale su strada di 561,10 euro: meno della metà. Quindi convenienza doppia.
Per il 2009, i fondi dell’ecobonus stanno arrivando. Dici: ok, è tutto un affare interno agli imprenditori del mare e ai governi. Non è solo questo, non può essere solo questo. Perché dentro ci passano i viaggiatori, i vacanzieri, i lavoratori. Poi ci passa il futuro. Domani. Quella cosa che chiedono i marinai prima di andare a dormire ogni notte. Uno può essere ambientalista o no, ecologista o no, però non può non riflettere su questo: ogni anno si potrebbero togliere dalle strade 240mila mezzi pesanti. Giù nell’ultimo biennio (2008-2009) ne hanno eliminati il 20 per cento in più rispetto al 2007. Non è ancora sufficiente, ma è tanto. Perché poi non è solo smog in meno, è più velocità sulle strade, meno ingorghi, meno blocchi, meno incidenti. Allora non c’entra solo chi col mare fa affari.
C’entriamo tutti. Lavoratori, turisti, imprenditori. Noi che ci muoviamo per andare da Civitavecchia a Barcellona via mare. Una follia? Non per chi l’ha fatto che ha scoperto che la vacanza comincia quando parcheggi l’auto nella pancia del traghetto e ti rilassi. Non per chi da gennaio può salire a bordo delle Cruise Ferry di Grimaldi che con la formula low cost dovrebbero consentire un aumento di 300-400.000 passeggeri all'anno. Si parte dall’Italia e con 25 euro si arriva in Spagna, Tunisia e a Malta.
Mediterraneo, sempre: casa nostra, Mare nostrum. Che è una strada immensa, ma soprattutto siamo noi. La Francia di Sarkozy sta cercando di creare l’unione del Mediterraneo, un’alleanza strategica tra tutti i Paesi di Europa, Africa e Medioriente che guardano verso lo stesso mare. Anche qui è il passato che si lega al futuro. Dicono: «È il luogo per l’integrazione politica e sociale». Forse no. Non ancora: europei e africani, africani e arabi, arabi e europei. Siamo lontani e vicini. Si parlano lingue diverse, si naviga lo stesso mare. Non c’è fretta: tre millenni di storia non si possono sintetizzare in qualche decina di anni. Non serve, comunque. Quando si naviga c’è un’altra aria. Ci si muove come se ci fosse un casello: si arriva e si parte. L’autostrada del mare è un luogo di passaggio, i porti sono le stazioni di servizio della nostra civiltà: non devono essere tutte uguali, non serve costringere a sentirsi più uniti di quello che si è. C’è il mare che ci pensa. Domani, sempre. L’ha detto il filosofo Predrag Matvejevic, il più grande conoscitore del Mare Nostrum: «Credo che sia molto pericoloso voler ridurre il Mediterraneo al suo passato. E talvolta ci fanno questo.

Non riconoscendo ciò che il Mediterraneo è oggi e che potrebbe diventare domani».

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