La classe degli «asini» non è razzismo

Sono rimasta a dir poco sconcertata dalla posizione da lei assunta in merito al caso dell’Istituto Gastaldi di Genova. Ciò che lei afferma, ovvero l’essere una classe di soli bocciati un’occasione di recupero per i medesimi, è una vera e propria «bestemmia» didattica. Ho trascorso l’intera vita a promuovere il recupero degli «asini» come lei li definisce, con successi straordinari e pochissimi fallimenti, e questo in virtù del confronto quotidiano tra motivati e non, strategia didattica di sicuro successo se ben attuata. Non sempre dietro una bocciatura c’è «vagabondite acuta»; c’è spesso molto altro: crisi di crescita, difficoltà di relazione interpersonale, immaturità, lentezza dello sviluppo intellettivo. Ognuno ha i suoi tempi ma è solo dal confronto quotidiano con compagni più motivati che scatta la spinta all’emulazione e il desiderio di migliorare. Mi creda, unire in un unico corso i bocciati è distruttivo. Ma lei conosce la ghettizzazione che subisce un ragazzo costretto in una classe «differenziale»? Non è buonismo, è solo buonsenso, intelligenza didattica e conoscenza profonda della psicologia giovanile. La posizione da lei presa offre oltretutto il destro per accusare Il Giornale di classismo, razzismo e fascismo. Ho sempre avuto per lei grande stima e gliela confermo ma quest’articolo, mi spiace dirlo, è stato un grosso scivolone.



Prendo atto delle sue competenze e del rilievo della sua esperienza, gentile professoressa. Lei ne sa sicuramente più di me, però deve ammettere che anche la professoressa Elsa Cirlini, preside dell'Istituto Gastaldi, di scuola, di strategie didattiche e di alunni qualcosa sa. E che dunque abbia deciso di istituire la «classe dei bocciati» non per un ghiribizzo, ma in base, appunto, alla sua competenza ed esperienza. D'altronde i corsi di recupero per gli studenti respinti non sono una novità. Né lo sono i respinti, anche se negli ultimi tempi presero a scemare non per un improvviso miglioramento della resa scolastica, ma per un brusco abbassamento del livello dei criteri di valutazione. Vogliamo parlare di quella farsa dei «debiti» e dei «crediti» lasciati alla gestione dell'alunno, coi risultati che abbiamo visto? Lei, gentile professoressa, ha ragione da vendere quando ricorda che un asino può essere tale per «crisi di crescita, difficoltà di relazione interpersonale, immaturità e lentezza dello sviluppo intellettivo». Ma vogliamo aggiungere che c'entra anche la poca voglia di studiare? Il più o meno bullesco sprezzo del dovere, della disciplina? E quando mai in ragazzi così è scattata «la spinta all'emulazione dal confronto quotidiano con compagni più motivati»?
Ecco perché ritengo valga la pena tentare la via proposta dalla preside Cirlini. Non c'entra il classismo o addirittura il fascismo e il razzismo, figuriamoci. Ma una considerazione ovvia e cioè che la lezione buona per un «motivato» non lo è altrettanto per un «demotivato», se così vogliamo chiamarlo in omaggio alla correttezza politica. Mi affido proprio alla sua esperienza e dunque mi corregga se sbaglio: un volta insegnata la grammatica, l'insegnante passa a insegnare la sintassi. Ma se in classe c'è qualche alunno che la grammatica non ha inteso studiarla, della sintassi non capirà un'acca.

Ed ecco allora crearsi un corto circuito che costringe l'insegnante o a trascurare i «motivati» per colmare le lacune dei «demotivati», e sarebbe un delitto; o a disinteressarsi dei «demotivati» per stare al passo dei «motivati», e sarebbe un peccato. Cercare una alternativa in grado di evitare quel corto circuito le pare davvero una «bestemmia didattica»?
Paolo Granzotto

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