Com’è moderno questo Cechov

C’è l’abitudine, nel teatro mitteleuropeo, di considerare i classici come grandi materiali di ricerca. Dove la parola è testo di partenza e le figure sono quelle dei personaggi cui viene data un’accelerazione imprevista che isola i momenti chiave del copione spiegandoli in un’alternanza di movimenti tesi a magnificare il tessuto verbale dello spettacolo. È ciò che succede nel memorabile allestimento del Giardino dei ciliegi di Paolo Magelli che ripudia lo sfondo tradizionale della scena costellando il palco di scale e praticabili conficcati come spartiacque. Unico luogo preposto alla comparsa di personaggi-zombi, echi di un passato letterario guardato con nostalgica pietà come qui accade con gli eroi di Cechov che si presentano al pubblico più dolenti degli antichi Sei personaggi. I quali, grazie a una compagnia perfettamente affiatata, esprimono nella fine di una classe sociale la vacua illusione di una rivalutazione del corpo. Che, ridotto a una sterile rivalsa degli stimoli vitali, si affanna a rappresentare la favola bella della dissoluzione spiegando i patetici parassiti di Cechov. Fantasmi che annegano nella chiacchiera come Ljubov e il fratello Gaev mentre, accanto a loro, muore l’attrazione tra Lopachin, il mercante dei tempi nuovi, e Varja custode di un focolare che sta per spegnersi.

Mai come in questo spettacolo Cechov ci è parso annunciare il tragico nichilismo di Beckett.

IL GIARDINO DEI CILIEGI - di Cechov Metastasio di Prato e Teatro di Sardegna. Regia di Paolo Magelli. Dal 12 al 15 gennaio a Bologna.

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