Commento Ma è difficile esplorare un mondo globalizzato

Se la letteratura di viaggio dovesse ridursi alle annotazioni colte e svagate, tutte piene di emozioni e di citazioni, di scrittori in genere sedentari e con la vocazione alle belle lettere e in definitiva al vecchio vaporoso elzeviro, sarebbe già bella che spacciata. Non avrebbe oggi più senso una pagina piena di divagazioni erudite e di percorsi puramente descrittivi dentro paesaggi colti e musei che qualunque ben fatto documentario televisivo può mostrarci in maniera più completa e soddisfacente. Per decenni diversi scrittori italiani sono andati in giro per il mondo soltanto per mostrare la bellezza virtuosistica della loro penna, il massimo esempio ne fu Giorgio Manganelli. Oggi non sarebbe più possibile. La globalizzazione ha creato scenari inediti. Non è più tempo per scrittori che credono che viaggiare sia descrivere una esperienza fatta in Grecia o in Cina, ma rimanendo comodamente fermi con la testa a Milano o a Roma.
Per scrittori che credono talmente nella propria arte da aver il coraggio di raccontarci la loro partecipazione a un viaggio «organizzato», da una agenzia o da qualche istituzione, con tutta la sua turistica prevedibilità. Anche autori il cui rilievo e la cui intelligenza è fuori discussione, scrivendo di viaggi possono mostrare il fianco e cadere in vistose banalità. É successo, viaggiando in India, meta di eccellenza per chiunque voglia conoscere il mondo, a due autori come Pier Paolo Pasolini e Gunter Grass. Tutti e due sono partiti per visitare il grande paese povero e affamato del mondo con un occhio ideologico e terzomondista vecchia maniera; del tutto digiuni di quel complesso di religione, filosofia, mitologia e poesia che è l’induismo, si sono limitati a fornire dell’India immagini che davvero rimangono tutte di superficie, e non rifuggono da vistosi luoghi comuni.
La facilità dello spostarsi da un angolo all’altro del pianeta, il fenomeno della globalizzazione, l’incontro-scontro di civiltà un tempo così lontane e separate pone nuovi problemi a chi vuole scrivere di viaggi. E’ bene che rinunci chi continua a credersi il centro del mondo e a pensare di poter ridurre la complessità delle cose limitandosi a una spruzzata di (eventuale) bello stile. Il viaggio dovrà probabilmente tornare a essere concepito come umile e difficile scoperta della diversità e come avventura, sia materiale sia spirituale. Una impagabile e indimenticabile avventura attraverso la cultura materiale fu quella che tanti anni fa visse Mario Soldati nel suo viaggio lungo la valle del Po alla ricerca dei cibi genuini. Quello è un esempio cui tornare. E chi scrive queste righe andò due decenni fa per i continenti alla ricerca del potere spirituale del mito, e sta per rifarlo. Con tutte le difficoltà per essere oggi veri viaggiatori, è bene che gli scrittori si muovano. Con l’anima innanzi tutto. Con la mente e il cuore. In cerca di nuove dimensioni dell’esistenza, di nuovi scenari del vivere. Se no saremo condannati a sorbirci ancora per chissà quanto pagine sui borgatari, sui coatti, sui rockettari, o, e non so se sia meglio, su ciò che resta della borghesia pariolina, su vecchie nonne o zie, sui tormenti interiori di qualche signora scontenta di se stessa.


Viaggiare serve a scoprire e ad andare lontano: e ci sarà sempre qualcosa al mondo da portare alla luce, qualche lontananza dove ritrovare i fantasmi dei propri sogni, la verità delle proprie aspirazioni. Insomma, ci sarà sempre da fare per gli scrittori che vorranno ancora, attraverso il viaggio, mettersi in gioco e varcare nuove e oggi impensabili frontiere.

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