Il piano industriale di Fincantieri non c'è più. Un piano tardivo e forse fin troppo timido. Giuseppe Bono lo ha dovuto ritirare, sotto il fuoco incrociato di governo, opposizioni e sindacati. Con l'intervento del ministro Romani la vicenda del gruppo cantieristico, peraltro al 100% statale, diventa un dossier del quale il Ministero dello Sviluppo Economico assume la regia, con lo studio di nuovi interventi di sostegno e l'invito quasi esplicito alla azienda a fare meglio il proprio mestiere. Però se non si parla più di chiusura di cantieri e licenziamenti, la partita è solo rinviata. Mantenere una struttura industriale e i livelli occupazionali attuali richiede un miracolo e condizioni di mercato che difficilmente si produrranno nel breve termine. Tutti i nodi prima o poi vengono al pettine e la vertenza Fincantieri, non affrontata quando il contesto era decisamente migliore, ora si è aggravata. Magari i finanziamenti BEI consentiranno di vincere qualche ordine;magari la Difesa avvierà, come in Francia, un programma di costruzioni navali accelerato per colmare i «buchi» di ore di lavoro, ordinando navi anfibie LPD/LHD e grandi fregate lanciamissili. C'è la possibilità di vincere ordini militari all'estero. Ma la esperienza Alitalia insegna che non ci sono medicine indolori per risanare. E oggi parlare di privatizzazioni, totali o parziali, non è neanche proponibile.
Dovrebbero ricordarlo i sindacalisti e le forze politiche che affossarono i piani che forse avrebbero consentito una ristrutturazione graduale e garantito 4-600 milioni di risorse. Ora è emergenza. Con Bruxelles che qualcosa può concedere, ma non un salvataggio di Stato.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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