Il dibattito sulla pillola per l'aborto suscita stupefazione. Infatti, mentre autorevoli politici dicono che tutte le leggi vanno rispettate, non si discute minimamente del costo della somministrazione della Ru486 che, per evidenti ragioni riguardanti la legge 194 del 1978 sulla tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza, va fatta negli ospedali. Chi paga per queste spese, riguardanti il farmaco e il ricovero? Suppongo che l'idea generale sia che questo è il costo di un «servizio pubblico» da addossare al contribuente, in nome del «diritto costituzionale alla salute». Infatti, si può leggere un articolo su La Stampa di Marcello Sorgi, autorevole giornalista, che argomenta che se si negasse la somministrazione della Ru486 in qualche regione, ciò sarebbe una «interruzione di servizio pubblico». Ossia unennesima violazione della legge penale da demandare alla magistratura.
La tesi è molto opinabile. Infatti, secondo le nuove norme della Costituzione, Titolo V, Parte II, la tutela della salute è materia di legislazione concorrente fra Stato e Regioni e lo Stato ha una competenza esclusiva solo per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali garantiti su tutto il territorio nazionale. Inoltre tutte le competenze non indicate esplicitamente dalla Costituzione sono delle Regioni.
La sinistra italiana, che attualmente difende questa legge dello Stato di fronte alle Regioni, ha negato il potere dello Stato di legiferare sulle norme elettorali, sulla casa e sull'urbanistica, e affossato il decreto legge sul diritto di voto nelle elezioni regionali, sostenendo che interferiva in un potere regionale. Ma ammesso che questo davvero sia un servizio pubblico di competenza esclusivamente nazionale, sorge il quesito del perché esso debba essere gratuito o semi gratuito. Il rilascio del passaporto è sicuramente un servizio pubblico di competenza nazionale, eppure per utilizzarlo bisogna pagare una marca da bollo annuale di euro 40,29 centesimi (a proposito non si potrebbe arrotondare la cifra, possibilmente a 40 euro?).
Il diritto alla salute è sancito dall'articolo 32 della Costituzione, primo comma, che stabilisce che «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività». Ma a ostacolare la tesi che la Ru486 vada erogata gratuitamente vi è il fatto che il primo comma dell'articolo 32 dice che la Repubblica «garantisce cure gratuite agli indigenti». Dal che si desume che i non indigenti non hanno un diritto garantito dalla Costituzione alla cura gratuita. Inoltre la Costituzione garantisce una «cura» (ossia una terapia) riguardante la «salute». Ma non sembra che lo stato di gravidanza sia una malattia o una invalidità, che comportino una «cura della salute».
Quelli della legge 194 «sull'aborto terapeutico» mi sembra siano «interventi terapeutici» dettati da considerazioni di opportunità, che vanno al di là della nozione di «salute», nel senso proprio di questo termine. Esso viene dilatato allo scopo di estendere il volume di affari del servizio sanitario regionale, a carico del contribuente. Inoltre c'è un quesito etico delicatissimo: «il diritto alla salute» garantito dalla Costituzione riguarda la madre o il nascituro? Ce nè abbastanza per argomentare che occorre evitare che questa faccenda porti a unulteriore dilatazione della spesa sanitaria pubblica e a nuovi esoneri fiscali derivanti dal diritto del contribuente di detrarre le spese sanitarie nella dichiarazione dei redditi.
Le prime Ru486 sono arrivate negli ospedali della Puglia. Ivi il governatore Vendola, rieletto, aveva stabilito con legge regionale che il servizio sanitario pubblico va dato gratis anche agli extracomunitari non dotati di permesso di soggiorno. C'è da augurarsi che almeno per la Ru486 la norma in questione non si applichi. Il porre un ticket per questi interventi, rivolto a coprirne il costo, possibilmente quello pieno, salvo per le donne indigenti, appare, comunque essenziale, anche per evitare un problema di affollamento delle strutture sanitarie pubbliche, già oberate di richieste di ricovero arretrate.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.