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Il commento L’Ue guidata da Praga fa rimpiangere il semestre di Sarkozy

«Aridatece Sarkò!»: se i diplomatici non fossero, appunto, i diplomatici, questo grido si sarebbe già alzato dalle Cancellerie europee dopo neanche tre settimane di presidenza ceca. All'inizio, sembrava che il problema principale fosse l'ostentato euroscetticismo del presidente Klaus, l'uomo che si è rifiutato di issare la bandiera della Ue davanti alla sua residenza e che si autodefinisce «un dissidente in seno all'Europa». Ma, con il passare dei giorni, ci si rende conto che il primo Paese dell'ex Patto di Varsavia ad assumere la guida dell'Unione non è proprio all'altezza del suo compito. Praga ha già collezionato tre gaffe imbarazzanti: ha espresso nel giro di poche ore due opinioni contrastanti sulla guerra di Gaza; nel documento che avrebbe dovuto mettere (ma purtroppo non ha messo) fine alla guerra del gas, ha definito Putin presidente della Russia, mentre ormai ne è solo il primo ministro; e in un messaggio diretto dalla Ue alla Turchia, le si è rivolta come un «grande Paese arabo», creando ovvio sconcerto ad Ankara. Nessuno si attendeva che la diplomazia di un piccolo Paese fosse all'altezza di quella francese, né che un Carneade come il premier Miros Topolanek potesse non far rimpiangere il suo predecessore Nicolas Sarkozy, che nel suo semestre ha fatto efficacemente sentire la presenza dell'Europa in tutte le crisi. Si sperava, tuttavia, che i cechi avrebbero tenuto un profilo basso, evitando i passi falsi e facendosi guidare da Bruxelles, come aveva fatto la Slovenia durante il suo turno. Invece, i cechi sembrano voler giocare a tutto campo, con il rischio di arrecare danni, sia di immagine, sia di sostanza, a tutta l'Unione. Preoccupa la coincidenza della presidenza ceca con i «cento giorni» di Barack Obama, durante i quali dovrebbe non solo ridefinirsi il rapporto transatlantico, ma bisognerà anche misurarsi con una nuova politica estera degli Stati Uniti in Medio Oriente e nei confronti della Russia. Praga (come tutti i Paesi dell'Est) è più filoamericana e più antirussa dei membri storici della Ue. In sé e per sé, questo non sarebbe un gran male, ma nel suo nuovo protagonismo potrebbe tentare delle fughe in avanti cui gli altri dovrebbero poi porre rimedio. Un altro problema è la marcata sfiducia ceca nella politica interventista che i maggiori Paesi della Ue e la stessa Commissione hanno adottato di fronte alla recessione: sebbene non sia nei poteri della presidenza interferire con queste decisioni, il suo controllo dell'agenda avrà il suo peso. Né i crucci di Bruxelles finiscono qui: alla presidenza ceca seguirà il 1° luglio quella della Svezia, un altro Paese che - pur avendone tutti i requisiti - non ha adottato l'Euro e che, sotto molti aspetti, si tiene ai margini dell'Unione.

In altre parole, dopo il «glorioso» semestre francese che aveva fatto intravedere le grandi possibilità di un'Europa più unita, si prepara un anno in tono minore; e anche se l'Irlanda tornasse sui suoi passi e approvasse, in ottobre, il Trattato di Lisbona respinto lo scorso anno, è difficile che l'Ue si dia quel presidente eletto per due anni e mezzo, che dovrebbe sostituire i presidenti a rotazione, prima della metà del 2010.

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