Il commento Ma l’Unità lo trasformò in «paladino del socialismo»

Gli ex sessantottini che per bocca di Mario Capanna hanno fatto autocritica rendendo omaggio alla memoria di Jan Palach non andrebbero lasciati soli. Anche il Pci, in quegli anni attento a lusingare le ansie rivoluzionarie studentesche così come un padre osserva la continuità dei propri ideali nei figli, reagì con pari disinteresse. Voltando la testa dall’altra parte, al limite della reticenza, spendendo su Palach solo il minimo sindacale di parole e analisi politica.
Si prenda l’Unità. Nei due giorni successivi al rogo in piazza San Venceslao la notizia resta confinata nelle pagine interne, nascosta in due articoli intitolati «Rapporto di Dubcek sui compiti del partito» e «Si discute al Cc la relazione di Dubcek». Solo il 21 gennaio, dopo altri tre tentativi di suicidio con il fuoco (di cui uno a Budapest), il quotidiano comunista dedica agli avvenimenti un taglio basso in prima pagina, accennando per la prima volta ai motivi scatenanti, riportati in una lettera-testamento pubblicata su tutti i quotidiani. E sintetizzata da l’Unità in due righe: Palach si è ucciso per abolire la censura e impedire la diffusione di un giornale, lo Zpravi. Messa così sembra una contraddizione bella e buona. Solo giorni dopo il corrispondente spiegherà, en passant, che lo Zpravi è un bollettino propagandistico pubblicato in lingua ceca dai sovietici.
Gian Carlo Pajetta esprime il proprio cordoglio perché «si tratta di giovani che sono colpiti per la loro passione». Ma, continua sibillino, «siamo di fronte ad atti individuali, a gesti disperati che non appartengono alle forme della lotta politica come la intendono i comunisti». Come se la maschia gioventù marxista, aggiungiamo noi, fosse un genere antropologicamente diverso, geneticamente superiore. Certo, continua Pajetta, a Praga «si ripropongono problemi irrisolti dopo l’intervento militare» e sottovalutare gli ultimi tragici gesti sarebbe un clamoroso errore politico. Ma «per parte nostra, rinnoviamo al popolo e ai comunisti cecoslovacchi l’espressione della nostra solidarietà nell’opera faticosa e travagliata per costruire una società socialista».
Chi invece traccia la linea con toni degni del miglior Togliatti è Maurizio Ferrara. Sull’Unità scrive di «canaglie fasciste» e «loschi avventurieri dell’affarismo liberale» che volevano impadronirsi della memoria del giovane. Ma «il tentativo delle destre italiane di egemonizzare e dirigere contro i comunisti l’emozione e la passione suscitata dai recenti e dolorosi episodi di Praga è fallito». E bene hanno fatto operai e movimento studentesco a respingere ogni invito a manifestare. Perché quell’episodio va letto nel «contesto rivoluzionario e socialista». Palach «non è morto per abbattere il socialismo ma per rafforzarlo, rinnovarlo, innalzarlo all’altezza dei livelli che spettano a un sistema che aspira a concretizzare nella democrazia socialista la concezione marxista del mondo».
Potremmo continuare citando Luca Pavolini, direttore di Rinascita, che sbriga la questione Palach in sessanta righe senza mai farne il nome. Oppure cercare inutilmente in altre riviste di area - Relazioni sociali, Critica marxista, Contropiano - qualsiasi tipo di commento.

O ricordare, ancora, come l’Unità abbia sentito il bisogno di dubitare della sanità mentale di altri giovani che in quei giorni si immolarono con il fuoco. Ce n’è a sufficienza per un supplemento di autocritica. Non resta che dare appuntamento al cinquantesimo anniversario.

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