Il commento Le leggi-mostro che bloccano le nostre aziende

Attenzione a una cosa. Le leggi italiane prevalentemente non vietano o prescrivono, ma confondono, intorbidano, rimandano, subordinano, concertano, autorizzano, coordinano, interpretano. Sarebbe facile se ci fossero da abolire dei bei divieti. Allora la frustata da inserire in Costituzione arriverebbe dritta e schioccante. Spariti i divieti, via libera all’iniziativa economica. Invece il guaio è che a volte non si sa neanche bene cosa abolire. O meglio: si abolisce un pastrocchio e ne spunta un altro peggiore. Il vuoto, il semplice non dire e lasciar fare, non fa parte del nostro sistema legislativo e amministrativo. Anche la Costituzione, con l’art.41 che il governo ha intenzione di rendere più favorevole all’imprenditoria, sembra spaventarsi del vuoto. E dopo quella bella frase iniziale limpida, «l’iniziativa economica privata è libera», si perde in specificazioni confuse sull’utilità sociale, i fini sociali (e due!), i controlli opportuni, i programmi, i danni alla sicurezza.
Ben venga una migliore formulazione dell’articolo costituzionale. Con il riconoscimento del diritto di avviare un’attività imprenditoriale senza dover passare prima per i controlli preventivi. Però attenti, perché l’applicazione reale delle leggi in materia economica, quella che passa attraverso i filtri dei poteri delle burocrazie, delle amministrazioni, dei Tar, ha creato una serie di mostri in grado, finora, di opporre la loro pervicace, gommosa, resistenza a qualunque tentativo di semplificazione e liberalizzazione.
Tutte questioni note. Ma sarebbe giusto arrendersi a questo potere senza volto? Ecco, con questo piano economico arriva il primo «no» a questa domanda. È un’esortazione all’imprenditoria, all’iniziativa: se ci siete battete un colpo. Certo, il timore che si siano intorpidite anche loro c’è. La rete delle autorizzazioni, dei controlli preventivi e dei ricatti successivi ha inquinato anche il modo di operare delle aziende. Molte aspirazioni sane sono state frustrate, molti arraffoni hanno invece potuto prosperare. Ma senza la forza dello spirito imprenditoriale non si aumenta la ricchezza nazionale e non si ottengono posti di lavoro.
È necessario partire dal riconoscimento di un diritto costituzionale, ma poi serviranno altri passaggi.
Il piano casa e l’apertura ai privati dei servizi pubblici locali, altre parti della strategia d’attacco sull’economia, sono un banco di prova più immediato. Gli obiettivi sono chiari, le resistenze lo sono altrettanto. Serve un atto, anche simbolico, contro di esse. Sarebbe bene se venissero allo scoperto, se diventassero un caso nazionale.
Il piano per il Mezzogiorno è centrato sulle opere pubbliche e sugli incentivi fiscali per alcune aree. Le prime servono anche ad attivare i fondi europei, ora utilizzati in modo ridicolo. I secondi dovrebbero alleggerire il carico di tasse sulle imprese. Niente di nuovissimo, certo. Ma la strada possibile è solo quella. E una serie di tentativi falliti in passato non può essere una buona ragione per rinunciare. L’appello per la crescita coinvolge tutta la società italiana, non è solo quella piccola minoranza contagiata dallo spirito imprenditoriale ad essere chiamata in causa. Il governo gioca a carte scoperte.

E, forse per la prima volta nella nostra storia repubblicana, non promette ricchezza e sviluppo che cadono dall’alto, ma prova a chiamare in campo forze imprenditoriali adulte.
L’iniziativa economica privata è libera. Forse ce lo eravamo dimenticato.

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