Il commento Se anche Hollywood si autocensura per paura dell’islam

Nel calcio la chiamano «sudditanza psicologica» degli arbitri o di una squadra nei confronti dei club più ricchi e potenti, ma ora vale anche nel cinema. E nelle banche. E sui giornali. E nella vita sociale per chiunque osi criticare l’islam. Ma con una differenza rispetto al calcio: nel confronto tra mondo occidentale e mondo musulmano a prevalere siamo noi. Siamo più ricchi, più colti, più progrediti. Eppure anche più pavidi, al punto di rinunciare alle nostre libertà pur di non correre il rischio di offendere chi crede nella religione di Maometto.
Il regista Roland Emmerich ha ammesso di essersi lasciato condizionare. Nel film 2012, in cui narra la fine del mondo annunciata in una profezia Maya, distrugge con abbondanza di effetti speciali molti simboli dell’umanità come la Casa Bianca, il Cristo di Rio de Janeiro e la Basilica di San Pietro. Emmerich non è nuovo a sceneggiature del genere, in passato ha mostrato l’annientamento dell’Empire State Building e di Manhattan, ma sebbene gli Usa siano patriottici, nessun americano se n’è scandalizzato. E in queste ore nessun cattolico prevede sit-in di protesta contro la devastazione del Vaticano. È fiction, forse grottesca, esagerata, ma pur sempre finzione narrativa.
Lo spettatore non vedrà la distruzione di moschee o di simboli islamici, benché fossero previsti nel copione originale, per rendere 2012 più credibile, considerato che il giorno del Giudizio dell’umanità non risparmierà di certo i musulmani. «Nel film volevo far crollare anche la Kaaba, l’edificio a forma di cubo sacro della Mecca - ha ammesso ieri Emmerich - ma me l’hanno sconsigliato dicendomi: chi te lo fa fare di beccarti una fatwa per un film? E credo che avessero ragione, così non l’ho fatto».
Come vogliamo considerarlo? Vigliacco? Opportunista o, forse, semplicemente sincero? «Così la pensiamo noi occidentali - ha spiegato -. I simboli cristiani infatti si possono distruggere, ma se lo fai con quelli arabi ti becchi una sentenza di un imam, spesso di morte e questo dà un po’ il senso del mondo in cui viviamo».
Già, nel mondo in cui viviamo è sconsigliabile non solo criticare i musulmani ma anche trattarli al pari di cristiani e di ebrei. La loro suscettibilità sta diventando debordante, se non pretestuosa. E forse è giunto il momento per noi europei di ritrovare il coraggio di essere fedeli a noi stessi. Senza inutili isterismi, sia chiaro, ed evitando le provocazioni, ma pretendendo da chi immigra in Europa il rispetto dei nostri valori e delle nostre libertà, anche quella religiosa. L’islam, nella Ue, ha gli stessi diritti del cristianesimo, dell’ebraismo o del buddhismo; ma ai musulmani non deve essere consentito di imporci costumi sociali e mentalità arcaiche comunque a noi sgradite.
E invece si sta scivolando nella direzione opposta. In tempi recenti la Sony ha rinviato l’uscita di un videogioco, perché nella colonna sonora era presente una canzone che semplicemente citava due frasi del Corano.

A Bruxelles la banca Fortis ha deciso di ritirare il porcellino-salvadanaio, amatissimo dai bambini belgi, ma potenzialmente offensivo per i musulmani; i quali a Malmoe hanno di fatto vietato alle svedesi di recarsi in spiaggia in topless. Per non parlare dei tanti crocifissi tolti nelle scuole italiane da zelanti maestre italiane.
Tolleranti sì, arrendevoli no. Non è complicato, a condizione di volerlo davvero.
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