Commercianti e artigiani, cade il muro

Il patto di Capranica si è concluso. Si tratta dell’unione in un unico organo di rappresentanza di cinque organizzazioni dell’artigianato e del commercio, per oltre due milioni di imprese e sette di addetti: metà circa degli operatori economici privati soggetti all’Irap e un terzo degli addetti del settore privato. L’organizzazione più importante del patto è Confcommercio, con 740mila imprese e 3 milioni di addetti, seguita da Confartgianato, con 650mila imprese di 870 settori (molte operano in più settori) con 1.215 sportelli territoriali da Cna, anch’essa composta di artigiani: ne annovera 650mila con 1.190 sedi. Nel patto entra anche Confesercenti che porta in dote 352mila imprese. C’è, infine, Casartigiani, associazione artigianale minore. Il patto di Capranica collega commercianti (circa 1,1 milioni di imprese) e artigiani (oltre 1,3 milioni). Ma, soprattutto, riunisce associazioni sino a poco tempo fa divise politicamente.
Infatti Confesercenti, originariamente era un’organizzazione di commercianti ed esercenti che simpatizzavano per il Pci e, poi, per i Ds. Invece, Confcommercio era costituita di commercianti di altro indirizzo o di nessuna parte politica.
Analoga la situazione per Cna, che originariamente simpatizzava per il Pci, rispetto a Confartigianato. Ora questa barriera politica non c’è più, almeno in superficie. Comunque, non è sufficiente a indurre tali associazioni a rimaner separate. Se le differenze di simpatie politiche fossero ancora dominanti, si sarebbe potuto immaginare che Confesercenti e Cna si confederassero in un organismo di rappresentanza loro, lasciando che Confcommercio e Confartigianato facessero un loro patto. Ma così non è stato.
Presentarsi come organismi orientati a sinistra, attualmente, non ha più senso, per queste due organizzazioni sorte in antitesi alle altre. Il patto di Capranica costruisce una sorta di «caduta del muro di Berlino», con l’Est che si ricongiunge con l’Ovest. Adesso c’è la sfida del mercato. E, comunque, c’è un governo con una larga maggioranza, in grado di durare tutta le legislatura.
Dal punto di vista dei ministeri, gli interlocutori di queste associazioni, il patto di Capranica costituisce una semplificazione. Per Confindustria e Confapi, le due organizzazioni industriali, ciò comporta, insieme una semplificazione e una sfida. Infatti, se è vero che «l’unione fa la forza», ora nelle trattative con quei sei ministeri, gli interessi delle piccole imprese del settore terziario e manifatturiero avranno una rappresentanza più efficace.
Le questioni sul tappeto sono moltissime. Credo che le principali siano, al presente, quelle che riguardano il fisco, i crediti verso le Pubbliche amministrazioni, i rapporti con il sistema del credito, le regolamentazioni burocratiche, la preparazione professionale (che si può avvalere della recente riforma, per cui l’ultimo anno di scuola media può essere sostituito dalla formazione presso un’impresa).
I più grossi problemi dei «capranici» sono quelli tributari, specie dopo le trovate di Romano Prodi e Vincenzo Visco, che hanno complicato le cose e le successive parziali revisioni. Ciò in relazione agli studi di settore, in cui gran parte di queste piccole imprese sono coinvolte e in relazione all’Irap, per la quale esse hanno avanzato varie proposte di semplificazione e si attendono riduzioni del carico, in particolare per i costi del lavoro e per gli interessi passivi. I decreti attuativi del federalismo fiscale riguardano, in parte, questi argomenti e il patto di Capranica potrà servire per un chiarimento su ciò che si intende fare.
D’altro canto è molto preoccupante la situazione con riguardo al credito, in relazione all’entrata in funzione delle nuove regole di Basilea III, che si riferiscono ai parametri patrimoniali che le banche devono avere, quando fanno credito a soggetti che non sono in grado di prestare adeguate garanzie. Si ha, molte volte, la sensazione che le regole di Basilea siano una giustificazione o un pretesto che il funzionario bancario adotta al momento di negare il credito al piccolo operatore, che non lo interessa abbastanza.

In altri termini, accanto alla esigenza che i criteri di Basilea III entrino in vigore in modo dilazionato, vi è quello della trasparenza. Si tratta di un tema urgente, perché nei due anni di magra, le piccole imprese hanno consumato molte risorse e ora hanno bisogno di credito per ammodernarsi e ripartire.

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