Chiusa la partita nomine ai vertici di Intesa Sanpaolo, entra nel vivo quella che si gioca in casa del suo principale azionista, la Compagnia di San Paolo. È previsto per il 12 maggio il consiglio generale in cui i «dissidenti» firmatari di un documento ad hoc potrebbero sfiduciare il presidente, Angelo Benessia (e con lui il comitato esecutivo), colpevole a loro dire di non avere gestito correttamente la questione delle nomine di Intesa. Benessia, infatti, inizialmente aveva candidato alla presidenza del consiglio di gestione della banca, anche grazie a un consenso politico trasversale, Domenico Siniscalco.
Una candidatura che non soltanto non era stata condivisa allunanimità dal comitato di gestione ma che non è nemmeno giunta a buon fine, visto che lex ministro del Tesoro a un certo punto si è chiamato fuori, lasciando la strada libera ad Andrea Beltratti, eletto due giorni fa. Intanto, Beltratti, in unintervista al Tg Regionale Rai del Piemonte, oltre a garantire che la banca «continuerà a mantenere le caratteristiche che ha avuto finora», ha sottolineato che la sua è una «nomina che alla fine è avvenuta allunanimità, nonostante le polemiche delle settimane scorse». «Credo che questa sia la condizione migliore per consentire alla banca di ripartire in unottica veramente unitaria con tutti gli azionisti e i lavoratori compatti verso un unico obiettivo comune». Ma anche la candidatura del professore della Bocconi, essendo apparsa come un «ripiego» dopo il ritiro di Siniscalco, ha finito per intensificare le tensioni al vertice della Compagnia San Paolo. Perché tali tensioni possano sfociare nella decadenza del comitato esecutivo e del presidente Benessia è però necessario che a votare in questo senso sia più della metà dei 21 componenti del consiglio generale dellEnte torinese. Ora, i «dissidenti» sono Stefano Ambrosini, Matteo Caroli, Daniele Ciravegna, Alberto Dal Poz, Giuliana Galli, Giorgio Groppo, Bruno Manghi (da cui è partito tutto e che darà le dimissioni se Benessia restasse in sella), Maurizio Maresca, Paolo Montalenti, Carlo Ossola e Giuseppe Pichetto. In tutto 11, ossia il numero minimo per portare a buon fine il «colpo di stato»: se anche uno solo ci ripensasse, non si avrebbe più la maggioranza e si andrebbe in direzione di un mantenimento dello «status quo». Qualche osservatore non esclude tale eventualità, spiegando che Benessia, pur di non andarsene, cercherà di attirare dalla propria parte con qualunque mezzo qualcuno dei «ribelli». Questi ultimi, tuttavia, pur avendo già perso per strada nei giorni scorso Caterina Bima e Marco Mezzalama, sono ottimisti. «Siamo convinti - ha riferito allAnsa un loro rappresentante - che la maggioranza possa essere molto più ampia delle undici adesioni, ma ci interessa che i passi successivi siano fatti con grande concordia».
Se il loro piano andasse a buon fine, la reggenza passerebbe, per un periodo di amministrazione straordinaria di 30 giorni, allattuale vice di Benessia, Luca Remmert.
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