Nino Materi
È sottile il confine che divide la generosità dallegoismo. In campo sanitario ne troviamo quotidianamente riprova facendo i conti con procedure «rigorosamente vietate» in un paese, ma «assolutamente legittime» nella nazione confinante. Prendiamo, ad esempio, il tema delicatissimo delle «staminali in banca», partendo da una realtà che si è diffusa negli ultimi anni: sempre più persone, anche in Italia, depositano il cordone ombelicale di un figlio per curare eventuali malattie future. Ci illudiamo così di entrare in una specie di macchina del tempo della salute capace di ipotecare il benessere «eterno». Un sogno filosofico più che una certezza scientifica, almeno a giudicare dai pareri raccolti dal mensile Newton che, nel numero di aprile, dedica al tema una documentata inchiesta. La domanda chiave è la seguente: «Le staminali in banca servono davvero?». Prima di analizzare la risposta degli esperti, vediamo cosa prevede la normativa italiana. Tre i punti centrali: 1) nel nostro Paese si può donare il sangue del cordone ombelicale, ma non lo si può conservare per eventuali «usi personali» futuri; 2) il sangue di un bambino con particolari rare malattie viene automaticamente messo da parte nel caso gli dovesse servire; 3) è consentito il deposito allestero del sangue ombelicale, da conservare in vista di un eventuale trapianto per la persona stessa. A questo punto risulta evidente lelemento di ipocrisia etica tra il punto 1 e il punto 3. Generosità ed egoismo, appunto. Ma cè chi trovare il «giusto» compromesso volando nei «paradisi staminali». Come ha fatto nellottobre 2005 la principessa Letizia della Asturie che daccordo con il marito Felipe, figlio di re Juan Carlos, ha prelevato dal cordone ombelicale dell'infanta Leonor di Borbone cellule staminali, congelate poi in un centro specializzato statunitense. Una decisione adottata da numerose altre famiglie del jet set internazionale (in Italia lo hanno fatto anche Sonia Raule e Federica Panicucci), ma molto più difficile da realizzare per le persone comuni che non potrebbe permettersi gli elevatissimi costi di mantenimento delle preziose staminali allinterno dei caveau delle «banche del freddo». La tecnica del congelamento delle cellule provenienti dal cordone ombelicale è praticata oltre che negli Usa anche in numerosi paesi europei a cominciare da Gran Bretagna, Germania, Belgio e Olanda. È qui che si rivolgono con sempre maggiore frequenza le coppie Vip assillate dalle incognite terapeutiche. Ma il «deposito» nella banca delle staminali ombelicali è la soluzione giusta?
«No, non serve a niente - dice a Newton Octavio Quintana, medico e direttore della Ricerca per la Salute della Commissione europea -. Se il bambino ha una malattia che richiede il trapianto di cellule, e a tale età la più frequente è la leucemia, avrà maggiori benefici dal sangue di un estraneo, perché questo stimola una reazione del sistema immunitario che uccide le cellule tumorali; se invece ha una malattia genetica è ovviamente impensabile trapiantare cellule che hanno lo stesso difetto».
Meno perentorio Giuseppe Novelli, genetista del Policlinico Universitario di Roma Tor Vergata: «L'esistenza di banche pubbliche di cellule e la loro donazione non va messa in discussione. Vi sono infatti patologie rare come l'anemia di Fanconi o la malattia di San Filippo in cui c'è bisogno di un trapianto autologo (cioè da proprie cellule). Ma tale eventualità riguarda solo una persona su 20mila. Per tante altre malattie genetiche ereditarie, invece, oggi il trapianto autologo di cellule non serve. Ritengo tuttavia utile offrire ai genitori la possibilità, unica e irripetibile, di conservare le cellule del cordone dei propri figli, tenendo conto che questo campo in futuro farà ulteriori, enormi progressi».
È cauto sulla possibilità future di terapia con le proprie cellule staminali Paolo Rebulla, direttore della Banca del cordone ombelicale del Policlinico di Milano: «Oggi non abbiamo ancora la prova scientifica che fra 5-10 anni potremo usare le staminali per curare altre gravi malattie, che peraltro colpiscono in età avanzata».
«Inoltre - sottolinea il dottor Quintana - nel mondo si conserva il sangue ombelicale da 10-15 anni, ma i ricercatori ignorano ancora cosa sarà delle cellule staminali dopo un periodo così lungo.
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