Michela Giachetta
Dedicato a chi ha paura, ma non può mica finire qui. Dedicato a chi ama la primavera romana e le sue notti. Dedicato a chi pensa che i libri e le parole e la musica sono unottima compagnia. È il Festival delle Letterature, questa sera al via nella basilica di Massenzio. Aprirà le danze di questa quarta edizione Salman Rushdie, scrittore indiano, famoso soprattutto per i suoi Versetti satanici, che gli sono costati una condanna a morte da parte degli ayatollah. «Sono contento di trovarmi a Roma - rivela Rushdie - che non è solo una città, è unidea. Durante le diverse epoche storiche tante altre città sono state questa idea. Oggi credo che lo sia New York, ma la prima è stata Roma. Anche per questo sono ben lieto di essere qui». La prima e ultima «idea», la Città Eterna e la Grande Mela, ora, hanno il proprio festival delle letterature e hanno stretto un gemellaggio fra loro: si amplia così il respiro internazionale della rassegna romana. «Penso sia importante riaprire il dialogo tra gli Stati Uniti e il resto del mondo», dice Salman Rushdie, che continua «La cultura è lo strumento ideale per far ripartire questi scambi e incontri, che aprono conoscenze e confronti fondamentali per tutti i paesi». Il gemellaggio con il «Pen World Voices», il festival statunitense da Rushdie «patrocinato», e quello romano, è solo uno dei motivi che legano lo scrittore indiano a Massenzio. Ma ve ne sono altri, professionali e privati. «Con la letteratura italiana ho avuto un rapporto che nel corso del tempo mi ha molto arricchito e non solo a livello professionale - ricorda Rushdie -. Tempo fa ho avuto un confronto con Alberto Moravia, ma non è stato uno degli incontri più entusiasmanti. A differenza di quanto accaduto, invece, con Italo Calvino, autore che ho amato e da cui ho avuto un forte incoraggiamento. Lui ha recensito i miei Figli di mezzanotte e quello è stato un contributo per andare avanti». «Degli scrittori italiani di oggi - continua lo scrittore - posso apprezzare quelli che hanno unottima traduzione in inglese come Alessandro Baricco e Umberto Eco». Con lautore de Il nome della rosa, poi, lo lega unamicizia nata da una stroncatura, come racconta lo stesso Rushdie. «Alla sua uscita in libreria, ho recensito negativamente Il pendolo di Foucault. La reazione è stata di tale generosità che mi sono vergognato di quanto avevo fatto. Dopo quellepisodio ci siamo incontrati a un convegno a Parigi. Lui mi si è presentato dicendo: sono io quello stronzo di Eco. Da allora siamo diventati ottimi amici. Abbiamo partecipato, tempo fa a Londra ad un reading, con Vargas Llosa. Eco ci ha paragonato ai tre moschettieri. Perché?, chiesi io. Un tempo nemici, oggi amici, rispose». Accanto a Rushdie questa sera saliranno sul palco Toni Servillo, attore e regista, il batterista Roberto Gatto e il sassofonista Javier Girotto. Ognuno con i propri strumenti affronterà il tema di questanno: «Paura, speranza». Sentimenti in antitesi, come per le passate edizioni, e che conosce molto bene lo scrittore, da poco risposatosi con una modella indiana e per anni costretto a vivere circondato da guardie del corpo che lo rendevano inavvicinabile. Oggi ha rinunciato a tutte queste precauzioni, scegliendo di vivere con la moglie a New York.
Sperando che non gli accada niente. Sulla paura, invece, Rushdie si esprime così: «Viviamo tutti nello stesso mondo e sono tempi incerti che ci danno insicurezza. La paura è un argomento che, per ovvii motivi, mi ha richiesto attenzione particolare e ravvicinata, e sono giunto ad alcune conclusioni, che poi ho visto essere le stesse cui sono arrivati gli americani dopo l11 settembre. Dobbiamo essere daccordo sulle cose che contano: baciarsi in pubblico, panini col prosciutto, dissidenza, ultima moda, letteratura, bellezza, amore. Queste sono le armi con cui affrontare il terrorismo. Per quanta paura possa suscitare il mondo, non possiamo lasciarci prendere dal terrore. Né lasciare che la paura domini la nostra vita. Anche se abbiamo paura».
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