Così la natura rende ridicoli gli sforzi degli ecocatastrofisti

L’effetto che la recente eruzione del vulcano islandese potrà avere sul clima sarà probabilmente insignificante. Malgrado ciò - anzi, forse proprio grazie a ciò - l’evento dovrebbe invitarci a riflettere, ancora una volta, se mai ce ne fosse bisogno, sul fatto che le forze della natura bastano, da sole, a vanificare i grandiosi progetti che l’umanità vorrebbe avviare col presuntuoso scopo di poter governare il clima. Ad esempio, che il Comune di Modena sta facendo prelevare dalle tasche dei contribuenti italiani euro 5 milioni in inutilissimi impianti fotovoltaici col seguente dichiarato obiettivo (lo ha dichiarato, testualmente, la signora Simona Arletti assessore all’ambiente a Modena): sottrarre dall’atmosfera - pensate un po’ - 700 tonnellate di Co2.
Ora, io non so quanta Co2 stia immettendo in atmosfera il vulcano islandese, e sicuramente è una piccolissima parte di quella immessa dalle attività umane. Però so quanta Co2 immettono in atmosfera le sole fumarole di un vulcano di casa nostra, quello di Ischia: giusto 700 tonnellate ogni 9 mesi. Il che dovrebbe essere sufficiente sia a mettere nella giusta prospettiva gli sforzi della signora Arletti - o, più precisamente, gli sforzi che la signora Arletti sta imponendo ai contribuenti - sia a fornire un’idea di quanto quegli sforzi siano mortificati dal vulcano islandese, che non è le fumarole di quello di Ischia. Nel caso tutto ciò non fosse sufficiente, basti sapere che 700 tonnellate è la Co2 emessa per diffusione dal suolo vulcanico di Ischia ogni 13 ore.
Un evento vulcanico con conseguenze ben più spettacolari (e purtroppo fatali, visto che l’onda d’urto uccise 40.000 persone) fu l’esplosione del Krakatoa, in Indonesia, nell’agosto del 1883. La gigantesca nuvola di aerosol emessi dal vulcano fu responsabile di fenomeni ottici atmosferici eccezionali, fece il giro del mondo, e per diversi mesi successivi il mondo poté ammirare tramonti splendidi e spettacolari come mai registrati fino ad allora. Giunse a Oslo un giorno di dicembre, ed Edvard Munch ce lo ha inconsapevolmente raccontato: «Stavo passeggiando con due amici, quando il sole tramontò; tutt’a un tratto il cielo divenne rosso sangue e io fui pervaso dalla malinconia e rimasi immobile. Nuvole come di sangue e lingue di fuoco sovrastavano il buio del fiordo e della città. I miei due amici continuarono a passeggiare, mentre io rimasi solo, immobile, e tremebondo di ansia.

Sentivo come un urlo che, possente e senza fine, trafiggeva la natura».
Dieci anni dopo, memore di quell’esperienza, dipinse sia quell’incendio del cielo cui i suoi occhi avevano assistito, sia quell’Urlo che il suo cuore aveva udito.

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