La Costituzione fatta dai giornali

L’informazione giornalistica qualche volta semplifica i problemi complessi (ci mancherebbe li complicasse), qualche volta li ignora (questo non va bene), qualche altra volta ne falsifica i dati (e questo va malissimo). Ora, appartiene sicuramente al novero dei problemi complessi il ruolo del Capo dello Stato di fronte al Parlamento-legislatore. Problema complesso che si può presentare semplicemente: che deve fare il Capo dello Stato mentre il Parlamento sta approvando una legge? Chiedere all'informazione giornalistica di trattare la questione in modo chiaro e allo stesso tempo veritiero - senza semplificare troppo, senza omettere nulla e, soprattutto, senza falsificare alcunché - sarebbe forse pretendere troppo. I lettori non hanno il tempo di inseguire ragionamenti da manuale universitario: sicché ci sta che sfugga qualche sbavatura, anche ai giornali più seri. Però, circolano in questo periodo, sui più importanti quotidiani, versioni alquanto singolari del ruolo del Quirinale. È accaduto per altre leggi in passato, sta accadendo ora con la nuova legge elettorale. Non mi riferisco ai vari appelli al Capo dello Stato affinché non la firmi. L'abitudine del «tirare per la giacchetta» il Presidente si è talmente diffusa in questa legislatura, che chi la pratica non si rende nemmeno più conto di quanto sia irrispettosa, giacché il Presidente non ha certo bisogno di suggerimenti per decidere cosa promulgare e cosa rinviare. Mi riferisco, invece, a quelle cronache che riferiscono della particolare attenzione del Quirinale alle varie versioni della legge elettorale, sulle quali la maggioranza ha via via affinato l'intesa. Queste varie versioni - si legge un giorno sì e l'altro pure - sarebbero passate al vaglio dei «giuristi del Colle» (cioè degli esperti che lavorano presso la Presidenza della Repubblica) e avrebbero incontrato obiezioni e rilievi vari. Obiezioni e rilievi, si aggiunge in questi articoli, prontamente accolti dal legislatore, lesto a cambiare in corsa il testo della legge. Qualche articolo presenta la questione come un'attività di «moral suasion» da parte del Quirinale nei confronti di una maggioranza un po' dissennata; qualche altro come una sorta di supplenza nei confronti di un legislatore pasticcione; altri ancora come una benefica azione di protezione della Costituzione contro gli attacchi malvagi delle armate del Cavaliere. Nessuno, si badi, si rende conto di quanto questo modo di presentare la questione sappia di Repubblica presidenziale, o di Repubblica «sotto tutela» presidenziale.
Io ingenuamente credevo, per la verità, che questa (asserita!) compartecipazione del Capo dello Stato alla produzione delle leggi fosse esclusa dalla nostra Costituzione. Credevo cioè che quest'ultima fosse molto chiara nel distinguere i ruoli: al Parlamento l'approvazione delle leggi, al Capo dello Stato la possibilità di rinviarle, chiedendo alle Camere di ripensarci, se ha delle obiezioni (di merito o di legittimità). Credevo anche che questa distinzione fosse proprio destinata a rafforzare il potere di controllo del Capo dello Stato in sede di promulgazione.

E mi figuravo che l'appannamento di quella distinzione avrebbe rischiato, al contrario, di indebolire il ruolo di garante del Presidente: come potrebbe non firmare una legge alla cui redazione, in misura più o meno «discreta», egli abbia «collaborato»?
Credevo così, ma almeno a leggere i giornali di cui sopra, mi sbagliavo, la Costituzione è diversa da quella che ho in mente io. E pensare che gridano allo scandalo perché l'attuale maggioranza la vuole cambiare, la Costituzione, seguendo le canoniche procedure di revisione: fatica inutile, basta qualche articolo sul quotidiano giusto...

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