Costituzione Ue, tre vie per aggirare il possibile no di francesi e olandesi

Se la Carta fosse bocciata, a Bruxelles si punterebbe a rinegoziare il Trattato. L’alternativa sarebbe il ritorno alle regole di Nizza. Ultima soluzione, un’Europa divisa tra Stati favorevoli e contrari

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Alessandro M. Caprettini

da Roma

Ci siamo: nel giro di una settimana, Francia (domenica 29) e Olanda (mercoledì 1 giugno) vanno alle urne sull’approvazione della Costituzione Ue a 25. E nei due Paesi serpeggia, evidente, un aperto pessimismo nel fronte europeista visto che i sondaggi continuano a vedere in testa lo schieramento del «no». In realtà è già accaduto nel passato che referendum indetti sui trattati comunitari fossero bocciati. La Danimarca votò contro il trattato di Maastricht nel ’92 e l’Irlanda respinse il trattato di Nizza nel 2001. Piccoli marchingegni istituzionali fecero sì che l’ostacolo fosse rimosso e tanto Copenaghen che Dublino rientrarono nei ranghi. Ma stavolta la storia rischia di aggrovigliarsi, e di brutto.
Come spiegava in un recente saggio Charles Grant, direttore del Centre for European Reform di Londra, se sul piano strettamente giuridico la mancata ratifica di un piccolo Stato vale esattamente quanto quella di un grande Paese, sul piano politico va da sé che «alcuni Paesi sono più eguali degli altri». Se insomma fossero gli estoni o i polacchi a tirarsi indietro si potrebbe sempre ringraziarli e dir loro di farsi da parte a meno di un ripensamento dopo una parzialissima modifica dei testi in questione. Ma se fosse Parigi a negare il suo assenso, questa strategia - evidentemente - sarebbe da scartare. Non solo perché nessuno immagina che si possa costruire l’Europa senza la Francia, ma anche perché pare assai difficile poter modificare capitoli come quello sulla concorrenza che - a causa della direttiva Bolkestein - sono entrati nel mirino del fronte del no d’Oltralpe e trovano facile consenso tra chi teme una invasione di barbieri polacchi o di coop edilizie lettoni.
Né bisogna dimenticare come proprio la Francia già nel ’92 si risvegliò di soprassalto scoprendo che nel referendum su Maastricht (tra l’altro: moneta unica), anziché con un largo consenso come prevedevano i sondaggi, il sì prevalse con appena il 50,9%. C’è di più: uno studio di qualche tempo fa della Fondazione Shumann (L’opinion europèenne en 2005) rivela come la «spinta emotiva e morale» che ha portato al processo di unificazione del vecchio continente, stia lentamente ma inesorabilmente scemando. Facendo trovare conferma alle parole pronunciate ad inizio anni ’90 dal cancelliere Helmuth Khol, secondo cui «una volta passata la generazione di europei che hanno conosciuto direttamente o indirettamente gli orrori della Seconda guerra mondiale, il disegno europeo avrebbe subito un arresto». Così come la rinuncia al «salto di qualità» verso un’Europa federale, preferendo la politica dei piccoli passi che però appesantiscono burocraticamente gli apparati, ha molto probabilmente avuto un suo peso.
Francia e Olanda al voto, dunque. Sono le due prime, importantissime cartine di tornasole dopo il via libera scontato di Italia, Spagna, Grecia, Lituania, Ungheria, Slovacchia e Lituania. Tutti a Bruxelles, come in altre capitali, sperano in una rimonta del «sì», capace di spazzare i nuvoloni che si addensano sul futuro della Ue. Ma se non fosse così?
Nei palazzi dell’Unione della capitale belga si nega che esista un «piano B» in caso di bocciatura. Il Sunday Telegraph, giorni or sono ha invece rivelato che nei summit diplomatici di queste ore si sarebbe stabilito che in caso di vittoria dei «no», i 25 governi della Ue sottoscriverebbero una dichiarazione congiunta «di emergenza», con cui la Francia potrebbe tornare a esprimersi dopo le ratifiche di tutti gli altri. In realtà, secondo molti autorevoli esperti - concordi nel dichiarare grave una bocciatura da parte di Francia e Olanda - se davvero fossero i no a prevalere non resterebbero che tre strade praticabili. La prima è una rinegoziazione del trattato, che però richiederebbe molto tempo e che non dà per scontato un accordo, visto che già il testo della Cig (Conferenza intergovernativa), guidata da Valéry Giscard d’Estaing, era il frutto di un laboriosissimo compromesso. La seconda possibilità è che il trattato firmato solennemente a Roma il 29 ottobre scorso sia accantonato e che si prosegua con le regole di Nizza; il che sarebbe prova di estrema debolezza da parte di una Ue che vuole farsi protagonista, oltre che costituire la riproposizione dei lacci e dei lacciuoli che ne frenano la crescita.

La terza infine è che un gruppo di Paesi che hanno ratificato si muovano assieme, lasciando i refrattari a riflettere sul da farsi. Sarebbe questa la realizzazione a posteriori dell’Europa a due velocità. Una ipotesi che accomuna vantaggi ma anche grossi rischi. Specie se fuori davvero dovesse rimanere Parigi.

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