La Corte di giustizia Ue: "L'ex Ilva di Taranto non può restare aperta"

L’impianto di Taranto non può restare aperto: per le toghe europee, sono illegittime le autorizzazioni ambientali

La Corte di giustizia Ue: "L'ex Ilva di Taranto non può restare aperta"
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L’ex Ilva di Taranto non può restare aperta: questo il responso della Corte di Giustizia dell’Ue. "In caso di pericoli gravi e rilevanti per l'integrità dell'ambiente e della salute umana" provocati dall'attività dell'acciaieria "il termine per applicare le misure di protezione previste dall'autorizzazione all'esercizio non può essere prorogato ripetutamente e l'esercizio dell'installazione deve essere sospeso", quanto si legge nella sentenza dei giudici di Lussemburgo. Le toghe hanno ricordato che la Cedu nel 2019 aveva accertato che l’ex Ilva provocava “significativi effetti dannosi sull'ambiente e sulla salute degli abitanti della zona”, sottolineando che sin dal 2012 sono state previste varie misure per la riduzione del suo impatto ma“i termini stabiliti per la loro attuazione sono stati ripetutamente”.

La Corte Ue ha risposto a un’istanza del Tribunale di Milano sull’interpretazione della normativa Ue in materia di emissioni inquinanti di impianti industriali in relazione alle norme italiane. In particolare, i giudici lombardi hanno chiesto "se la normativa italiana e le norme derogatorie speciali applicabili all'acciaieria Ilva al fine di garantirne la continuità siano in contrasto con la direttiva" Direttiva 2010/75/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, relativa alle emissioni industriali. Mentre, secondo il governo italiano, la direttiva non fa alcun riferimento alla valutazione del danno sanitario, la Corte rileva che la nozione di "inquinamento" ai sensi di tale direttiva include i danni tanto all'ambiente quanto alla salute umana.

Per i giudici di Lussemburgo la valutazione dell'impatto dell'attività di un'installazione come l'acciaieria Ilva su tali due aspetti deve costituire atto interno ai procedimenti di rilascio e riesame dell'autorizzazione all'esercizio. “Secondo il Tribunale di Milano, tale presupposto non è stato rispettato per quanto riguarda il danno sanitario. Il gestore deve altresì valutare tali impatti durante tutto il periodo di esercizio della sua installazione”, si legge nella sentenza dei giudici. Ma non solo. Secondo il tribunale meneghino le norme speciali applicabili all'acciaieria Ilva hanno consentito di rilasciarle un'autorizzazione ambientale e di riesaminarla“senza considerare talune sostanze inquinanti o i loro effetti nocivi sulla popolazione circostante”.

La Corte ha rimarcato che il gestore di un’installazione deve fornire informazioni relative al tipo, all'entità e al potenziale effetto negativo delle emissioni nella sua domanda di autorizzazione iniziale. Inoltre, a differenza di quanto affermato dal governo italiano e dai vertici dell’acciaieria, il procedimento di riesame non può limitarsi a fissare valori limite per le sostanze inquinanti la cui emissione era prevedibile.

Per i giudici è necessario valutare le emissioni effettivamente generate dall'installazione nel corso del suo esercizio e relative ad altre sostanze inquinanti: “In caso di violazione delle condizioni di autorizzazione all'esercizio dell'installazione, il gestore deve adottare immediatamente le misure necessarie per garantire il ripristino della conformità della sua installazione a tali condizioni nel più breve tempo possibile”.

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