Il procuratore anti-Trump non si arrende: ricorso in appello per la sentenza sul caso Mar-a-Lago

Il giudice Aileen Cannon ha deciso di archiviare il caso perché la nomina del procuratore speciale Jack Smith sarebbe stata fatta in violazione della Costituzione, perché non fatta dal presidente Usa, né approvata dal Senato

Il procuratore anti-Trump non si arrende: ricorso in appello per la sentenza sul caso Mar-a-Lago
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Come previsto da molti osservatori, la vicenda dei documenti riservati sequestrati a Mar-a-Lago non è ancora finita. Il procuratore speciale Jack Smith ha infatti presentato appello contro l’archiviazione del caso a carico di Donald Trump. La sua mossa ha fatto seguito alla sentenza del giudice federale Aileen Cannon, che il 15 luglio ha deciso di chiudere la vicenda giudiziaria sostenendo che la nomina di Smith a capo dell’indagine era stata fatta in violazione della Costituzione.

Secondo il giudice, infatti, la nomina del procuratore speciale non era stata fatta dal presidente degli Stati Uniti o approvata dal Senato, andando quindi contro la Appointment clause (clausola delle nomine) della Carta fondante degli Usa. La decisione di Cannon è stata in controtendenza rispetto ai pronunciamenti di altri tribunali, risalenti fino al caso Watergate, ma è stata comunque una vittoria per Donald Trump, arrivata appena due giorni dopo l’attentato al comizio di Butler.

Essa ha fatto seguito al pronunciamento della Corte suprema degli Stati Uniti che ha riconosciuto al tycoon una parziale immunità nei processi federali a suo carico. “Mentre andiamo avanti nell'unire la nostra Nazione dopo i fatti orribili di sabato, questa archiviazione dell'accusa illegale in Florida dovrebbe essere solo il primo passo, seguito dalla rapida archiviazione di tutta la caccia alle streghe”, ha scritto Trump sul suo social Truth dopo che la decisione del giudice Cannon è stata resa pubblica. “Il Dipartimento della Giustizia democratico ha coordinato tutti questi attacchi politici, che sono un complotto per un'interferenza elettorale contro l'avversario politico di Joe Biden, il sottoscritto”.

Nella corsa alla Casa Bianca, il candidato repubblicano e il suo team elettorale hanno brandito come un’arma i vari processi a suo carico, indicandoli come una persecuzione dei dem per impedire al tycoon di riottenere la presidenza. In particolare per quanto riguarda il caso dei documenti riservati, il Gop ha avuto gioco facile dopo la decisione di un procuratore federale di non processare l’attuale leader della Casa Bianca per un caso simile.

I magistrati hanno motivato la loro decisione di presentare ben 40 capi d’accusa contro Trump affermando che, al contrario di Biden o Mike Pence, all’epoca vice del tycoon e indagato ma mai incriminato per la vicenda dei documenti, l’ex presidente repubblicano non è

stato collaborativo ma avrebbe valutato la possibilità di mentire a coloro che stavano cercando di recuperare i dossier e li avrebbe spostati nella sua abitazione a Mar-a-Lago per evitare che fossero trovati.

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