Agente ferito, lacrime del figlio: "Perché non arrestano il cattivo?"

Emilio Procopio, poliziotto ferito in servizio, racconta la reazione del figlio alla decisione del giudice di liberare subito il malvivente

Agente ferito, lacrime del figlio: "Perché non arrestano il cattivo?"

«Papà, scusa, ma se tu arresti i cattivi, perché il giudice non li manda in carcere?». Si è stretto il cuore nel petto di Emilio Procopio, Assistente Capo della Polizia, quando suo figlio di appena nove anni gli ha rivolto una domanda semplice, ma non banale: perché il «cattivone» che ha fratturato le mani a suo padre non ha avuto «nessuna punizione»? Perché non è finito in galera?

Già. Perché? Difficile comprenderlo con la ragione di un adulto, figuriamoci con gli occhi innocenti di un bambino. Giovedì sera scorso Procopio era in servizio con un collega in un’operazione contro lo spaccio di droga a Passo di Salto, località di Catanzaro. Teneva d’occhio un individuo che si è fatto un nome in città spacciando droga e che un anno fa lui stesso aveva arrestato per lo stesso reato. Dopo una breve fuga gli agenti sono riusciti a bloccare il senegalese e a riportarlo in casa per la perquisizione. Qui il malvivente ha reagito violentemente, tentando di afferrare un coltello lasciato sul tavolo e facendo scattare una colluttazione alla fine della quale Procopio ha avuto la peggio. Bollettino finale: frattura di due dita di entrambe le mani, contusione al gomito e prognosi di 30 giorni. Può succedere, direte, è il rischio del mestiere. Certo: ma l’assurdo arriva dopo. Il giorno successivo al processo per direttissima il senegalese se l’è cavata con un buffetto: il giudice ha convalidato il fermo senza però disporre alcuna misura cautelare e facendolo così tornare in libertà. Senza nemmeno un minuto di carcere.

In Italia evidentemente aggredire un pubblico ufficiale non basta per finire dietro le sbarre. «Questa vicenda mi ha rovinato la vita», racconta ora Procopio ai colleghi del Coisp, il sindacato di Polizia che l’ha aiutato in questi giorni. E non tanto per le dita ingessate che gli impediscono di lavorare. Ma per la reazione di suo figlio. «Lui - scrive l’agente in una lettera aperta - vede il suo papà come un eroe che “arresta i cattivi”». Sa che è pericoloso e che «l’importante è assicurare alla giustizia chi fa del male al prossimo». Per questo di fronte alle dita ingessate del padre con tono sicuro aveva detto alla mamma di non preoccuparsi, «tanto ora il giudice gliela fa pagare al cattivo che ha fatto male a papà, lo arresta e gli da l’ergastolo». La favola ha avuto però un finale amaro, col poliziotto ferito e il bandito libero di tornare a spacciare. E così la (fanciullesca) certezza della pena si è trasformata in delusione. «Papà, ma se tu arresti i cattivi, il giudice perché non li manda in carcere? Non gli ha dato nessuna punizione? Era meglio che ti stavi a casa a riposare sul divano, almeno non ti facevi male».

Le lacrime del bambino hanno fatto cascare il mondo addosso a Procopio. «Dopo aver vissuto in prima persona il “dramma dell’eroe sconfitto”, mio figlio è stato messo davanti alla deludente realtà in cui gli eroi si trasformano in vittime senza giustizia». Vittime della malagiustizia che mette alla berlina i buoni ed è clemente coi banditi. «La cosa che mi preoccupa - chiosa amaro nella lettera - è che questa sua esperienza gli faccia maturare l’idea che chiunque commetta un reato possa rimanere impunito».

A finire sotto accusa sono il sistema giudiziario compiacente e le leggi troppo blande. Due realtà di un’Italia che scambia i buoni coi cattivi e sembra parteggiare per i secondi. «Proviamo sconcerto ogni volta che accadono queste cose -afferma Franco Maccari, segretario generale del Coisp - Sembra quasi un invito a delinquere ancora»..

Procopio invece è «sconfortato» perché ha paura che suo figlio possa smettere di credere in quelle istituzioni al cui rispetto è stato educato. Nonostante tutto, promette di voler continuare ad essere «orgogliosamente un poliziotto al servizio dello Stato e delle comunità». Dimostrando un attaccamento che forse quest’Italia non merita.

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