I l bollitore lo chiamano «chittola», che viene da kettle. E a uno che deve partire dicono «T'è bucà?» per sapere se ha prenotato il biglietto: da booking. È la lingua degli emigrati che d'estate tornano a Bardi, arrampicandosi tra i boschi della val Ceno, nell'Appennino a sudovest di Parma, e popolano la piazza con un linguaggio tutto loro: perché i loro padri e i loro nonni sono partiti da qua che erano ancora bambini, sapendo appena qualche parola di dialetto, e poi cresciuti a Londra, in Galles, in America, a sgobbare e a fare fortuna.
Adesso stanno tornando: i due mesi d'estate, e poi da vecchi. «Perché - dice il vicesindaco Alessandro Berzolla, anche lui nato in Canada e doppio passaporto - vogliono tornare a morire a casa». Hanno fatto fortuna, e qui si sono costruiti le case che popolano i costoni che guardano alla grande fortezza dell'anno Mille. Ma con questo paese e i suoi emigrati lo Stato italiano non si comporta bene, come se i loro sacrifici, le loro cento storie, non facessero parte dell'epopea nazionale. Così Roma si inventa un pasticcio che rischia di mandare a gambe all'aria le finanze di Bardi, e devono muoversi i deputati del posto a fare interrogazioni: perché da una parte una legge ha tolto l'Imu sulle case degli emigrati, ma dall'altra non si danno al Comune le risorse per ripianare il buco. Di centoventimila euro, da Roma il decreto di qualche giorni fa ne stanzia undicimila, creando una voragine che la giunta non sa come colmare. E siccome qui è gente seria, si preoccupano.
La legge riguarda tutta Italia, le case di tutti i vecchi emigrati che vivono all'estero con la pensione della loro nuova nazione. Ma l'impatto su Bardi è stato devastante, per via dei numeri e della storia. Il rapporto tra residenti e emigrati racconta tutto: duemilacento abitanti tra il borgo antico e le frazioni; milleseicento sparsi tra Francia, Gran Bretagna, America, partiti a ondate successive tra la fine dell'Ottocento e il secondo dopoguerra, raggiungendo fratelli e cugini, sposandosi tra di loro, dando vita a comunità orgogliose e vivaci: a Londra c'è l'Associazione Val Ceno, che non ha rapporti con l'Associazione Val Taro: perché, all'estero come in patria, tra la gente di queste due valli quasi parallele non scorre buon sangue.
Sono belle, le storie dei bordigiani all'estero. Come quella di Frank Berni, che insieme ai suoi fratelli sbarcò in Galles agli inizi del secolo scorso, e che da un piccolo locale a Merthyr Tydfil, venti miglia a nord di Cardiff, e arrivarono a realizzare una intera catena, i Berni Inn, che cambiarono il modo di mangiare dei gallesi. Fu Frank Berni, che evidentemente era un uomo di genio, a inventare il moderno happy hour, le bevande scontate in una fascia oraria fino ad allora depressa. Frank non si scordò mai del paese da cui era partito, e della sua generosità discreta dà conto una grande targa appesa al primo piano del municipio. «Ma non è stato il solo - racconta il vicesindaco Berzolla - per gli emigrati aiutare il municipio è una tradizione».
La via Francigena scorre qua accanto; da Bardi passava la via degli Abati che da Pontremoli arrivava al monastero di Bobbio: e anche alle vestigia di quelle tradizioni si affida il nuovo boom turistico che porta qui schiere di olandesi, tedeschi, americani. Ma alla fine dell'Ottocento qui c'era la fame. I primi ad andarsene furono quelli che andavano in pianura a fare gli orsisti, facendo ballare gli orsi nelle fiere di paese. Poi arrivò la grande fuga verso paesi lontani: ma sempre ritrovandosi in piccole comunità compatte, stesso paese, stesso quartiere, spesso stesso mestiere. In certe zone della Francia a fare gli scaldini, a rifornire di carbone le caldaie dei palazzi, era tutta gente di Boccolo, che di Bardi è una frazione.
Sono andati, hanno lavorato, adesso tornano. Ma in mezzo ci sono state vita dura e tragedie. Al bar, sotto una tettoia, c'è Remo Basini-Gazzi, classe 1932: ha gli occhi chiari, un grande naso, e parla anche lui come l'Amerigo di Guccini. I suoi genitori nel Galles del sud avevano avviato un'impresa di gelati fiorente e famosa, i Sidoli Ice Cream. Ma nel 1939, allo scoppio della guerra, lui e tutti i bambini dovettero tornare in Italia, perché il clima per loro, divenuti improvvisamente nemici, si era fatto pesante. Poterono tornare in Galles solo a guerra finita, sette anni dopo, un intero treno di bambini che alla stazione di Paddington rividero madri che quasi non ricordavano più. A qualcuno andò peggio: come quelli che gli inglesi imbarcarono sulla nave Arandora per deportarli in Canada, e vennero silurati da un U boot al largo dell'Irlanda. Affogarono in cinquantatré.
Adesso anche Remo è tornato per l'estate, e il nipotino gli scorrazza attorno, nel bar dove le battute in emiliano si incrociano a quelle in inglese, nello strano argot di questa terra. «E se viene qua a San Bartolomeo, il 24 agosto - dice il vicesindaco - farà fatica a sentire parlare italiano». È una storia di cui si può essere orgogliosi. E questo rende ancora più triste la sciatteria burocratica con cui il governo centrale l'ha trasformata nel guaio di bilancio che ora assilla Giorgia Malucelli, precisa e combattiva responsabile dei conti del del Comune: «Io il bilancio dovevo chiuderlo il 31 marzo e fare il consuntivo il 30 aprile. Il decreto con i trasferimenti lo hanno fatto solo adesso, e scopro che ci mandano per l'esattezza 11.407 euro, a fronte di un mancato gettito di centoventimila. E io come faccio?».
«In discussione - spiega Berzolla - non è il trattamento riservato agli emigrati in pensione, che è sacrosanto. Ma è la mancanza del trasferimento compensativo, che mette a rischio la stabilità del Comune».Sembra roba da ragionieri, invece è storia della nazione.
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