Ma chi li mette in tavola non fa un "peccato"

L'agnello del Cavaliere scuote la Pasqua: la scelta animalista di Berlusconi scatena il dibattito tra favorevoli e contrari. "Non togliete un cibo sacro a noi credenti": il commento di Camillo Langone

Ma chi li mette in tavola non fa un "peccato"

Gesù mangiava agnello: era dunque cattivo? Sanguinario? Insensibile? Potevo cominciare il pezzo chiedendo agli animalisti, e a Berlusconi che ha appena adottato cinque agnelli, di non intaccare la bella tradizione del pranzo di Pasqua, ma evocare la tradizione a difesa di un qualsivoglia comportamento significa, anche senza volerlo, certificarne l'obsolescenza, ricoprirlo di ragnatele e di polvere. La parola ha ormai una triste accezione, tutti confondono tradizione e tradizionalismo e chi viene etichettato come tradizionalista è liquidato con l'alzata di spalle che si riserva ai nostalgici dello Stato Pontificio se non della Santa Inquisizione. Vorrei pertanto affrontare la questione dell'agnello pasquale non dal punto di vista del passato ma dal punto di vista dell'eterno. Non chiedo di lasciarmi la libertà di mangiare il gustoso cosciotto di ovino perché lo portava in tavola mia nonna, che pure meritava la fama di cuoca sopraffina, ma perché era sulla tavola di colui senza il quale la grande festa di domenica prossima non esisterebbe (senza il quale non esisterebbero nemmeno le domeniche normali, a essere precisi). Non bisogna mai dimenticarsi che Gesù crebbe come ebreo osservante e che gli ebrei osservanti all'apice gastronomico della loro Pasqua, la cena del Seder, da sempre mangiano agnello (o capretto). In memoria dell'agnello (o capretto) che il Signore comandò a Mosè e al suo popolo di mangiare la notte precedente alla liberazione dalla cattività egiziana. Quindi si faccia attenzione: mettere fuori legge questa carne, come alcuni illiberali (e dunque non certamente Berlusconi) propongono, limiterebbe non solo la libertà di culto dei cristiani, ma anche quella degli ebrei. Nel libro dell'Esodo c'è sull'argomento un capitolo molto minuzioso. L'animale rituale dev'essere «senza difetto, maschio, nato nell'anno; potrete sceglierlo tra le pecore o tra le capre». Qui a parlare è nientemeno che Dio, prodigo inoltre di norme squisitamente gastronomiche: «Non lo mangerete crudo, né bollito nell'acqua, ma solo arrostito al fuoco». Il lettore mi perdoni, gli avrei risparmiato queste citazioni se le persone preposte, ossia i preti, non si dimenticassero di ricordarcele.

Non voglio rubare il mestiere a nessuno ma tanti uomini di Chiesa sono più impegnati a lodare genericamente il Corano che a valorizzare la Bibbia nei suoi passaggi più peculiari, spesso i più estranei al sentimentalismo proibizionista che oggi pretende di imporci il menù.

Gesù mangiava agnello e mangiava pesce (ricordate la famosa moltiplicazione?) ed esortava al più completo onnivorismo: «Non capite che tutto ciò che entra nell'uomo dal di fuori non può contaminarlo?».

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