Ecco perché Conte era già al capolinea

Ci sono le mascherine farlocche, i 140 respiratori fasulli per le terapie intensive, e quel rapporto del responsabile dell'Oms che denunciava l'assenza di un aggiornamento del piano contro l'epidemia in Italia

Ecco perché Conte era già al capolinea

Ci sono le mascherine farlocche, acquistate in Cina dagli uffici dell'ex commissario per l'emergenza Domenico Arcuri, distribuite negli ospedali pubblici eppoi sequestrate dalla Guardia di finanza. E ancora i 140 respiratori fasulli per le terapie intensive delle nostre strutture sanitarie, provenienti sempre da Pechino su richiesta dell'ex capo della Protezione civile, Angelo Borrelli, che una nota del ministero della Sanità, appena dieci giorni fa, ha chiesto in tutta fretta di ritirare. E, naturalmente, quel rapporto del responsabile dell'Organizzazione mondiale della Sanità di Venezia, Francesco Zambon, che denunciava in una relazione l'assenza dal 2006 di un aggiornamento del piano contro l'epidemia in Italia e giudicava la gestione dell'emergenza «caotica e creativa»: diagnosi spietata che l'ex direttore per la prevenzione del ministero della Sanità e attuale vicedirettore dell'Organizzazione mondiale della Sanità, Ranieri Guerra, ha tentato invano di insabbiare, forse con l'assenso del ministro della Sanità Speranza, o forse no. L'elenco finisce qui, per ora, accompagnato da una serie di avvisi di garanzia. Ma il problema non sono tanto le inchieste della magistratura, quanto le prove conseguenti che la gestione della guerra alla pandemia del precedente governo è stato un mezzo fallimento, caratterizzato da ombre e da ritardi. Limiti che potevano essere chiari a tutti fin dalle prime settimane di questa tragedia, a cominciare dalle vicende dei comuni di Alzano e Nembro dove il Covid-19 fece una strage e su cui indaga la Procura di Bergamo, se solo non si fosse stati animati da una sorta di «contismo militante» (spesso l'insuccesso dà alla testa, un fenomeno diffuso, a cui neppure i seguaci di Giuseppe Conte si sono sottratti) e se i media avessero avuto il coraggio di depurarsi dalle narrazioni di Rocco Casalino. Del resto, senza possedere doti da indovino, questo giornale era stato facile profeta già il 28 marzo dello scorso anno, giustappunto un anno fa, con un articolo titolato: «Lo spettro di una Norimberga giallorossa».

Ora il paragone con il processo contro i gerarchi nazisti di Norimberga risuona sui talk show e si legge qua e là sui giornali (tranne, ovviamente, quelli che si occupano esclusivamente delle inchieste di parte, cioè quelle che hanno come bersaglio vuoi Berlusconi, vuoi Salvini o Renzi), ma che la storiella del «modello Italia» fosse una mezza barzelletta, inventata per salvarsi l'anima e rimuovere il numero dei morti che hanno accompagnato l'epidemia è sempre stata chiaro a tutti. Solo che all'inizio la lentezza delle decisioni, il pressappochismo e gli errori, sono stati coperti dall'atmosfera di solidarietà che crea una tragedia inaspettata, un dramma improvviso, un'emergenza inedita. Poi, i mesi successivi, tra banchi a rotelle, ritardi nei bandi delle terapie intensive o nell'arruolamento di vaccinatori, hanno fatto l'esatta radiografia di quanto sia stata contraddittoria la politica del governo Conte contro il virus.

E la presa d'atto della cruda realtà, ha fatto venire a galla anche gli impicci che, in un modo o nell'altro, hanno sempre come riferimento la via della Seta e gli emuli di Marco Polo del terzo millennio. L'assurdo è che dalla Grande Muraglia è arrivato il virus, ma anche le mascherine per prenderlo o i respiratori per fare una brutta fine. Per non parlare di quegli strani mondi che giravano attorno a questi affari, a cominciare da quei tre personaggi stravaganti (un imprenditore che si occupava d'altro, un ex caporedattore Rai, un cittadino ecuadoregno) che sulle mascherine si sono messi in tasca 75 milioni di euro di commissione. O, ancora, la strana mail del fornitore dei respiratori cinesi di Pechino, che tira in ballo Massimo D'Alema - per mesi consigliere politico «ombra» di Conte, nel ruolo di garante - che guarda caso siede nel board di una fondazione (la Silk road cities alliance) collegata alla stessa impresa venditrice (Silk road global information limited): «Carissimi abbiamo appena ricevuto informazioni dall'onorevole D'Alema Massimo che il vostro governo acquisterà tutti i ventilatori», c'è scritto secondo quanto riportato ieri su La Verità. «Che c'entra D'Alema si chiede il renziano Michele Anzaldi con l'acquisto di un'azienda cinese di ventilatori per terapie intensive, addirittura fallati? A che titolo parlava a nome del governo Conte?». Mentre Gabriella Giammanco, forzista, spara contro Arcuri: «Dopo l'affaire delle mascherine, care e di pessima qualità, arrivate dalla Cina, come fa a restare dopo 13 anni ancora a capo di Invitalia. Vada in pensione: troppi amici e pochi risultati!».

Questa è l'atmosfera che si respira nel Parlamento della maggioranza extralarge di Draghi. La verità è che più trascorrono le settimane da quando Conte ha lasciato Palazzo Chigi, più viene meno la coperta che copriva il tutto, e più si scopre che l'organizzazione messa in piedi per affrontare il Covid-19, non era una task-force per l'emergenza, ma un mezzo circo, con tanto di giocolieri per studiare strani provvedimenti e acrobati mediatici per nasconderne i fallimenti: una realtà che rende ancor più patetici e disperati gli orfani di quel governo. Come appare paradossale che il ministro della Sanità, Speranza, non dia una parola di spiegazione su tutte queste vicende, specie quella che chiama direttamente in ballo il suo capo di gabinetto per la sparizione, nei fatti, della relazione Zambon sui limiti della gestione della pandemia nel Belpaese. Perché a parte le inchieste, gli avvisi di garanzia, le carte bollate, quello che più interessa, appunto, sono i guai provocati dalla «mala gestione» della pandemia non fosse altro per non ripetere in futuro gli stessi errori. «Il problema sottolinea Sestino Giacomoni, uno dei consiglieri del Cav non sono tanto gli impicci che hanno fatto, quando i danni provocati dalla loro malagestione dell'emergenza».

Insomma, quella che interessa non è la Norimberga giudiziaria, quanto una Norimberga politica, che metta in luce «il pressappochismo» l'espressione è di un piddino laico come Umberto Buratti con cui il vecchio esecutivo ha gestito il dramma del Covid-19. «Ma dai - ironizza un Matteo Salvini scatenato chi l'avrebbe mai detto che Arcuri, l'uomo di Conte, sarebbe stato indagato». Già, nella testa del leader della Lega si scrive Arcuri, ma si legge Conte. Del resto era stato l'ex premier a ricoprire il personaggio su suggerimento di D'Alema di un mare di incarichi.

Mentre Matteo Renzi ricorda: «Io da almeno un anno dico che finito l'incubo, cioè la pandemia, bisognerà mettere in piedi una commissione d'inchiesta parlamentare per fare luce su ciò che è stato fatto in questi mesi, a cominciare dagli errori e dalle ombre. E oggi ci sono ancora più motivi di ieri».

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