
Si sa: i media raccontano, anche con grande clamore, i fenomeni della quotidiana attualità ma poi, gioco forza, il giorno dopo se ne dimenticano e li lasciano cadere nell'oblio. Ebbene è il caso di rompere tale schema di fronte a quel milione di ragazze e ragazzi che domenica scorsa hanno riempito Roma per ascoltare papa Leone XIV celebrando il Giubileo dei giovani. Si è trattato di un evento che, in un colpo solo, ha travolto luoghi comuni e pregiudizi lunghi decenni. È scesa in campo una generazione M, una moral generation del tutto distante e distinta sia dalle sempreverdi tribù ideologiche nate con il '68, sia dalle alienate solitudini di oggi dei cosiddetti millennial. Insomma, una generazione protagonista di un'autentica rottura culturale. Con il passato e con il presente.
Le generazioni precedenti, dagli anni Sessanta in poi, hanno spesso vissuto nel mito della distruzione. A parte le iniziali, giocose suggestioni dei figli dei fiori i ragazzi della seconda metà del Novecento esprimevano una radicale aggressività. Esistenziale, sociale, politica che nasceva dall'utopia di dover costruire un uomo nuovo che, però, poteva prender vita solo dopo l'eliminazione del vecchio individuo borghese. Ciò che divenne ben presto violenza, espropriazione, odio di classe e personale. Allo scopo di distruggere il demonio dell'ingiustizia capitalista. I papa boys, all'opposto, vivono il mito della creazione. Il loro cielo è più sereno, sia quando si rivela lungo i sentieri spirituali della fede in Dio, sia quando prende le forme della creatività economica e culturale, dell'assistenza a chi soffre, dell'imprenditorialità diffusa. L'amore è sempre creatività: per loro l'amore, al tempo di Internet, è creatività infinita. Sanno che non c'è nessun uomo nuovo da costruire sulle macerie del vecchio. Che l'unica vera possibilità di trasformazione umana sta, appunto, nella costruzione: sociale, intellettuale, artistica, produttiva. Ecco perché amore, comunicazione, libertà, famiglia, diventano le parole centrali del loro vocabolario. Alla vecchia generazione figlia dell'odio si va sostituendo una nuova che vede nell'etica non un vincolo ma un'occasione.
Ancora: le vecchie consorterie giovanili avevano decretato l'incontrastabile primato del collettivo, anche in ogni questione esistenziale. Il personale era politico. La "moral generation" vive, invece, e con gioia, il primato dell'individuo. Crede nell'assoluta diversità e irripetibilità di ogni essere umano. Si determina così un apparente paradosso: questi ragazzi in fondo sono meno dogmatici perché sono più religiosi. Sulla base del messaggio cristiano (e liberale) la libertà del singolo viene infatti vista come la condizione della libertà di tutti, non più come un ostacolo.
Così i papa boys entrano in rottura anche con il presente: con la "generazione dell'indifferenza", social-dipendente, cinica e solitaria, intossicata dal mito di una virtuale perenne connessione con il mondo che in realtà, alla fine, si rivela solo un'illusione. Sempre connessi ma in realtà sempre soli. E senza speranza. I ragazzi di Leone XIV non rifiutano il mondo digitale: anzi ne fanno il loro principale strumento di comunicazione. Solo che non si rinchiudono nell'onanismo tecnologico. Al contrario, lo vedono come un formidabile facilitatore dell'incontro con gli altri. All'etica della rassegnazione contrappongono l'etica dell'impegno. Pensano che solo l'esempio concreto, la bellezza e la produttività del cammino, possano rendere godibili i valori in cui si crede. Diciamo la verità: in un tempo segnato dalle guerre e dall'orrore, nel quale l'esistenza umana sembra aver perso qualsivoglia valore, il loro inno alla vita propone un messaggio di "resilienza umanista" che il mondo intero dovrebbe raccogliere.
Non sono ragazzi, questi, che si perdono di fronte alle difficoltà. Che sia la fede in Cristo a guidarli o la luce della propria coscienza, non cambia: si tratta di una generazione insieme umile e testarda.
Non superba e viziata come quelle filiate dal '68, né solipsistica e apatica come quella segnata dal dominio dei social. Seguiamola allora con attenzione anche in futuro. Che siano quelle qui descritte o altre ancora le caratteristiche della sua filosofia di vita, la "moral generation" è certamente il segno di un cambio dei tempi.