Salvo improbabili sconvolgimenti le due coppie presidente-vicepresidente sono già pronte: Donald Trump e Ted Cruz correranno per i repubblicani; Hillary Clinton e Bernie Sanders per i democratici. Cruz e Sanders come vicepresidenti. Ma naturalmente chi correrà come vicepresidente oggi si sente in gara per giocare come numero uno, non due. E così la prevedibile alleanza è preceduta da una guerra sanguinosa fra coloro che poi dovrebbero andare sottobraccio per quattro anni. Unica eccezione che si ricordi, la campagna di Bill Clinton e Al Gore del 1992, che si presentarono subito alleati sperando di darsi poi il cambio, cosa che non avvenne perché Gore fallì e vinse Bush.
Ma ad Al Gore il presidente Clinton assegnò incarichi diplomatici formali, ciò che in genere non accade perché il vice è un roi fainéant che si presenta ai ricevimenti in attesa che venga il suo turno per la rivincita. Il che significa che il futuro numero due deve prima essere ammorbidito e costretto al compromesso con una severa bastonatura prima della Convention. Siamo ancora nella fase di apertura, come negli scacchi: il primo febbraio si svolgeranno i caucuses (primarie con presenza fisica di elettori che si contano sotto le insegne del loro candidato) nell'Iowa e sarà una prova generale significativa perché l'Iowa come l'Ohio è uno Stato che riproduce il comportamento medio degli elettori americani. Poi, il 27 febbraio ci sarà il South Carolina, dove per la candidata democratica si è mobilitata la comunità nera. Hillary Clinton è dunque sicura di farcela, data per vincente, sostenuta dall'establishment e dallo stesso Obama. Ma contro di lei gioca il fattore dell'ingombrante marito. È la prima volta che una donna corre per la Casa Bianca ed è la prima volta che ci prova il coniuge di un ex presidente: «Signora le ha chiesto un giornalista suo marito è un ex presidente e nulla vieta che lei gli affidi un incarico come fece John Kennedy quando nominò ministro della Giustizia suo fratello Bob. Lei che farà? Racconterà a Bill la sua giornata a cena davanti al tavolo della cucina o gli offrirà un ruolo?».
E Hillary: «Cominciamo col tavolo della cucina, poi vedremo». Sempre a causa del marito, sulla Clinton pesa la maledizione dello scandalo per la nota famosa relazione orale fra Bill e la stagista Monica Lewinsky. Sadicamente, repubblicani e democratici la crocefiggono con la sperimentata e ipocrita battuta: «Non saremo così meschini da ricordare quel che il marito della candidata Clinton combinò mentendo alla nazione sul suo affaire con una stagista nello Studio Ovale». Il presumibile numero due in genere è scelto perché porta voti, ma dopo essere stato depotenziato: grasso ma in ginocchio, quello è il numero due perfetto. In campo repubblicano, secondo la stessa logica abbiamo visto Donald Trump massacrare il suo pupillo Ted Cruz nell'ultimo dibattito tirando fuori a sorpresa il fatto che il senatore cubano-texano è nato casualmente in Canada e dunque manca del primo requisito richiesto: essere americano di nascita. Ted, vedendosi attaccare da Donald con cui condivide quasi tutte le idee ha dovuto contrattaccare con energia per far vedere che non teme nessuno, specialmente gli amici. Ma se siamo abituati alle feroci performance di Trump, quella di Hillary che alza la voce con l'indignazione sulle labbra attaccando Sanders è una novità. Sanders si presenta come un intellettuale «socialista», un bastian contrario, un «truth teller» che dice la verità sfidando i politici professionisti.
Ma Sanders, diversamente da Ted Cruz, non si aspettava le bordate di Hillary e ha reagito male: nervoso, balbettante, si è perso d'animo facendo smorfie e ridendo quando non si doveva ridere. Hillary è stata un rullo compressore, addestrata dai suoi secondi come un pugile favorito dalle scommesse. La sua dialettica è automatica, fredda anche se simula la passione e conosce la parte a memoria compresi gli snodi utili per cambiare discorso. Sanders è stato attaccato a freddo da Hillary proprio perché ha recuperato, ha usato la rimonta per affermare in tono spavaldo: «Ero sotto di 50 punti e adesso stiamo recuperando in vista del sorpasso».Quando Hillary Clinton si batté contro Obama alle presidenziali del 2008 fu anche allora molto pesante contro il futuro presidente, il quale però una volta eletto le offrì il Dipartimento di Stato, l'ufficio più prestigioso dopo la Casa Bianca. Nel dibattito democratico di domenica sera Hillary Clinton non ha fatto che santificare il presidente uscente sfidando Sanders a criticarlo. Sanders si è trovato così costretto a elogiare Obama cercando però di mostrarsi diverso: siamo fieri del lavoro fatto da Obama, ma è ora di introdurre delle novità. E quindi dice di voler rivedere l'intera situazione sanitaria dal momento che ventinove milioni di americani non sono coperti da assicurazione o dalla sanità pubblica.
Hillary, come previsto, si mostra infuriata rispondendo con stizza che non si può ricominciare tutto da capo. La campagna è entrata nella fase calda dopo le schermaglie di rito fra tutti i pretendenti al trono e si avvicina il momento in cui soltanto i duri restano in campo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.