Coronavirus

I cinque scogli che frenano la fase 2

I cittadini sono bravi e rispettano le norme. Stato e Regioni hanno qualche difficoltà in più

I cinque scogli che frenano la fase 2

La fase due è iniziata ieri ma già sembra che i cittadini abbiano capito come si devono comportare per non rischiare di tornare al numero di contagi di qualche settimana fa. Insomma, la lezione sembra sia stata capita e nessuno vuole vanificare i sacrifici fatti fino a questo momento. Anche perché il virus non è certo stato debellato e continua a circolare.

Gli italiani e la fase due

Basta girare per le città per vedere che tutti indossano la mascherina e mantengono le distanze di sicurezza. Sono invece 5 gli scogli che rischiano di rovinare tutto, sono App, tamponi, test sierologici, medicina territoriale e Covid hospital. Proprio quelle leve su cui si dovrebbe basare tutta la strategia sanitaria. L'Huffingtonpost ha fatto il punto della situazione proprio su questi cinque punti.

App Immuni e tamponi

Immuni è il primo scoglio. Si tratta dell’App, come ormai tutti conosciamo, creata dalla Bending Spoons che, scelta dal governo, dovrebbe aiutare a individuare velocemente i soggetti venuti a contatto con i contagiati, in modo da riuscire a contenere la propagazione del virus. Ma, come spiegato dall’HuffPost, questa è “ancora in fase di sviluppo tecnico, al momento non esistono tempi certi indicati per il rilascio e l’entrata in funzione”. Non è detto che parta entro la prima metà di maggio.

Al fine di avere un’idea dell’entità del contagio, di tamponi ne andrebbero fatti il più possibile. E su questo punto le Regioni non hanno lavorato in modo coordinato. La protezione civile ne avrebbe inviati 3.637.042, e molti sono ancora inutilizzati. Alcune regioni sono partite prima, altre dopo. Il Veneto ne ha fatti 390.952, coinvolgendo 227.579 persone. La Lombardia ne ha effettuati 425.290, sottoponendo a tampone 255.292 soggetti. Il Piemonte ne ha effettuati 181.316, i casi testati sono 126.685, in Emilia 206.166 con 136.310 casi testati. Tra le Regioni del Sud, la regione che ne ha eseguiti di più è la Campania con 93.068, seguita dalla Sicilia con 91.306 e dalla Calabria con 40.509. In tutto i tamponi effettuati in Italia sono stati 2.246.666. Parte degli esperti continua a chiedere che vengano fatti tamponi di massa, per evitare che la fase due finisca subito riportando alla fase uno.

Test sierologici, medicina territoriale

In alto mare anche i test sierologici. Infatti, per il momento non è ancora partita l’indagine di sieroprevalenza, voluta dal Governo su consiglio del Comitato tecnico scientifico della Protezione civile. In teoria da ieri, lunedì 4 maggio, sarebbero dovuti partire i test su 150mila persone. Peccato però che i prelievi, attraverso i quali si sarebbero dovuti trovare gli anticorpi, non sono ancora iniziati. Sembra però che da ieri siano stati consegnati i kit e che la Croce Rossa stia contattando le persone da sottoporre ai prelievi. Molti italiani starebbero in questi giorni già sottoponendosi ai test rapidi, anche se gli scienziati hanno più volte ribadito che non servono come patente di immunità.

Anche per quanto riguarda le cure a casa non c’è una situazione omogenea tra le regioni. Le “Usca”, Unità speciali istituite col decreto legge 14 del 9 marzo, che dovevano entrare in funzione entro 10 giorni, al fine di gestire l’isolamento domiciliare per i soggetti contagiati, sono presenti solo in tredici regioni: Abruzzo, Basilicata, Emilia Romagna, Campania, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Valle d’Aosta, Sicilia, Toscana, Veneto e Lazio. Anche se con modalità differenti tra loro. Come spiegato da Massimo Maggi, della segreteria nazionale della Federazione dei Medici di medicina generale, “in questo momento per quello che ci risulta per ogni malato conclamato, con diagnosi di Covid-19, possono essercene 5 o 10 sommersi, che però continuano a diffondere il virus nell’ambiente”. Fondamentale quindi riuscire a individuare i primi sintomi della malattia per poter intervenire il prima possibile. In alcune regioni però questo non è fattibile, proprio per la mancanza delle unità speciali e la medicina sul territorio.

I covid-hospital

Nei piani del governo occupano un posto molto importante i Covid-hospital, ovvero reparti e strutture specifici per ospitare e trattare i malati da coronavirus. Il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha fin da subito sottolineato che “realizzare Covid-Hospital in ogni territorio è uno dei pezzi della strategia sanitaria che stiamo mettendo in campo”. Proprio a valore di ciò sono stati stanziati più di 2 miliardi per la realizzazione di 15mila posti letto in terapia intensiva e sub-intensiva in tutte le regioni. Nel caso la fase due fallisca e si debba ritornare all’emergenza iniziale. Sarà compito di ogni Regione individuare i Covid-hospital da usare. Ma anche riguardo questo punto ci sono delle mancanze. La speranza è che gli italiani continuino a rispettare le regole, dimostrando responsabilità nei comportamenti quotidiani, ed evitando così una seconda ondata di contagio.

Tra circa dieci giorni avremo il responso.

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