Cronache

L’Angela dei Narcos e la guerre delle Barbie

Erano soprannominata Drug Queen e aveva un fidanzato chiamato Il Mostro. La Sanclemente, bellissima e intrigante, esportava droga in tutto il mondo con un trucco supersexy. Fino a quando…

L’Angela dei Narcos e la guerre delle Barbie

Prima che di sé era innamorata di Pablo Neruda, sapeva a memoria i versi delle sue poesie, che spesso declamava tra un moijto e un cuba libre: «Non lamentarti mai di nessuno e di niente, perché in fondo / Tu hai fatto quello che volevi nella vita». Amava anche la lingerie di classe. Era stata lei, “modella internazionale » , come certifica la scheda della sua agenzia, a dare corpo nelle pubblicità alle fantasie degli uomini. Si chiamava Angela, o meglio «Angie Jeaneth Sanclemente Valencia», ma era il diavolo. Con un esercito di Barbie che portavano la droga in tutto il mondo, sicure che la polizia avrebbe chiuso un occhio pur tenendoli entrambi aperti e incollati sulle loro mise volutamente esagerate, aveva inondato l’Europa di coca purissima.

Angela viene da lontano, le sue gambe lunghe hanno infilato da tempo strade pericolose come le sue curve per portarla dove nessuna donna è arrivata prima, a comandare gli imperi del male dove i demoni sono tutti uomini. Angie che sa come va il mondo, Angie che sa come prendere gli uomini, Angie che recita da attrice consumata la parte della bellezza partita dal niente, della ragazzina maledetta cresciuta nelle favelas e depositaria dei sogni di una ragazza madre, la sua, Yaneth Valencia Alfonso, che sulla figlia, povera ma bella, investe tutto quello che ha, i soldi per iscriverla a La Pasarella di Barranquilla, la scuola che alleva model e top, dove ti insegnano a sfilare e a sedurre, l’anticamera della vita perfetta. E che alla fine arriva, come Cenerentola, sul trono delle più belle, Bambina Bogotà e non appena l’età gliel’ha consentito Miss Tanga, fino al Reinado Nacional del Café, che in Colombia vale più del titolo di miss, salvo poi rinunciare tra le lacrime perché a vent’anni era già sposata e il regolamento lo vietava, salvo poi perdersi nel traffico tossico dei narcosi lungo la rotta della droga che dal Messico porta in Europa, passando per l’Argentina, lei nata negli anni feroci in cui a casa sua, in Colombia, mettevano radici, radici di coca pura, i cartelli di Medellin e Bogotà, spesso insieme a principi azzurri che sembrano lupi.

Un romanzo criminale che va oltre la narrazione della bella e maledetta per diventare quasi simbolo di femminismo anche se perverso, la mantide che si impone e governa nel più macho e più feroce dei mondi. È femmina la testa del clan, femminili le gambe del cartello, la carne da macello mandata in prima linea: le cosiddette mulas, o Barbie, con la droga nascosta nella valigia o sotto la biancheria. Come M.N., modella keniota, fermata a Fiumicino con una partita di eroina pura nello zainetto o Julissa Bianela Mercedes Brito, 24 anni, ammanettata all’aeroporto di Catania con un chilo di droga nella pancia e portata in ospedale appena in tempo prima che i 98 ovuli di coca che aveva inghiottito le esplodesse dentro. Ragazzine sfacciate o disperate tutte reclutate in passerella, manovalanza che i boss dei cartelli, che sovvenzionano i concorsi di bellezza, sponsorizzano le candidate e pagano la loro chirurgia estetica.

In cima a quella montagna di droga è arrivata spezzando i cuori dei padrini. Confesserà: «La mia ambizione è sempre stata quella di vivere come una regina, come una diva, del denaro, del potere ... ho dimenticato i valori importanti e sono diventata vuota». È stata per un po’ la donna di Carlos Cabanas Catzin, detto il Mostro, boss messicano della coca, ma si mette in proprio, diventa la sua rivale. Con un’idea geniale e rivoluzionaria. Usando giovani modelle, aspiranti top, come corrieri della droga, ragazze di folgorante appariscenza, capaci di sfilare davanti ai poliziotti doganali, facendo loro dimenticare d’aver appena prelevato dalla passerella del nastro trasportatore una valigia pesante come un macigno, un po’ troppo per i loro fisici di cristallo luccicante.

Andava avanti da un po’ la rete di Angie, ribattezzata Drug Queen, fino a quando un agente argentino ha voluto guardare dentro il bagaglio di Maria N., vent’anni, professione indossatrice, che da Buenos Aires voleva volare in Europa dentro al suo abitino fatto apposta per farsi guardare e ignorare quei 55 chili che portava appresso. «Mi avevano garantito che nessuno mi avrebbe fermato visto che ogni giorno qualcuna di noi viaggia senza avere problemi».

Il prezzo del servizio? Cinquemila dollari. E giù con i nomi delle colleghe pagate per far da corriere della dark lady che gestiva l’organizzazione. È così che è partita la caccia a Angela, con un mandato di cattura internazionale spiccato alla vigilia della notte di Natale. Fugge appena in tempo dall’albergo argentino eletto a quartier generale mentre l’ultimo fidanzato Nicola G. di Mar del Plata, professione modello, di sette anni più giovane, finisce ammanettato insieme a un complice minore. E ancora lei che ricercata nega su Facebook le accuse e per un po’ continuai aggiornare profilo e foto alla faccia di chi la bracca dall’Argentina alla Colombia convinto che mai si pentirà visto che chi lo ha fatto come Julio Correa, ex fidanzato di un’altra famosa modella colombiana, Natalia Paris, per aver collaborato con la polizia è finito dentro un tritacarne. O che fa dire al suo avvocato l’ex giudice Guillermo Tiscornia: «La signora Sanclemente non si consegna perché teme, complice la sua bellezza di essere violentata in carcere».

La catturano invece in un ostello di Buenos Aires, nel quartiere Palermo, si registra sotto falso nome, i capelli colorati di biondo per non farsi riconoscere. La latitanza è durata solo cinque mesi. A tradirla forse, un contatto con la stampa. Si difende: «Non c’entro nulla con la droga. Mi hanno incastrata». La portano al Centro Federal de Detención de Mujeres Unidad número 31 a Ezeiza, vicino a Buenos Aires, poi all’Instituto Correccional de Mujeres Unidad número 3 sempre a Ezeiza dopo la denuncia della madre mia figlia é ormai ridotta all'ombra di se stessa, dice, é stata ferocemente picchiata da altre detenute. Come temeva l’avvocato. Una cerca addirittura di impiccarla. Racconta: «È stato il periodo più orribile della mia vita, tre anni d’inferno, dove il giorno e la notte sono la stessa cosa, giorni, ore che passano e tu rimani lo stesso, sommerso in un profondo pozzo di oscurità». La riportano in Colombia dove sconta solo la metà della pena, 6 anni e 8 mesi. Le viene vietato di tornare in Argentina.

«Ero complice di qualcosa di molto brutto, ammetto la mia colpa - dirà - Forse dovevo passare di lì per cominciare un’altra vita”. Miss Narco, o Narco Barbie, ha scritto un libro «perché nessuna ragazza commetta un errore come il mio». Ma non con le parole di Neruda: «Non lamentarti mai di nessuno e di niente, perché in fondo / Tu hai fatto quello che volevi nella vita»..

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