L’ippica può tornare in sella con meno tasse e più privati

All’estero produce lavoro e economia. E da noi? Urge riforma e mani libere agli investitori. Anche stranieri

L’ippica può tornare in sella con meno tasse e più privati

U scire. Dall’angolo, dalla sfiducia, dalla crisi. Perchè l’ippica è ancora un’isola del tesoro e abbandonarla vuol dire rottamare storia, cultura, economia. Sono 200mila ettari di terreno che gli allevamenti salvano dal cemento, 25mila lavoratori che potrebbero tornare a moltiplicarsi. Per ora più che un’isola siamo isolati, perchè altrove non è come da noi. Altrove l’ippica è una risorsa, un settore che vola, qui no perché, dicono, la gestione politica dell’ippica crea solo danni. Anche in Francia la crisi ha picchiato duro: «Per un paio d’anni hanno avuto un ribasso ma non hanno fatto come noi - spiega Marco Trentini, Direttore di Trotto&Turf - Si sono preoccupati, hanno fatto quadrato, hanno adottato mille correttivi e sono tornati in attivo. Sono intervenuti in tempo reale e tutti insieme. C’è da dire poi che hanno trovato spalle all’interno del Parlamento: là l’ippica è considerato un settore economico importante. mentre da noi...». La politica che si preoccupa di un proprio bene. Ma anche un ambiente che sa fare squadra che qui non c’è. Anche questo è molto italiano: come diceva Kilping due italiani sono un litigio e tre italiani tre partiti. L’ippica è frammentata in decine di sigle, di associazioni diverse, di gruppi contro: «Siamo stati e siamo divisi - non si nasconde Guido Melzi d’Eril, che è stato a capo dell’Unire - Ogni volta che si cerca di far qualcosa per l’ippica nascono quattro cordate, in forte contrasto tra loro». Aggiunge Guido Borghi, presidente dell’ippodromo di Varese: «Ma se il ministro facesse il proprio lavoro, se dicesse questo il mio indirizzo gli altri, tutti gli altri, sarebbero costretti a confrontarsi sul progetto». Ma poi cosa si può fare? Chi vive e lavora nell’ippica un’idea ce l’ha. Diminuire il prelievo sulle scommesse: già solo portarlo al 20% vuol dire rimettere in moto il sistema. La Francia resta il faro: lì per tutelare la storica tradizione dell'ippica ad ogni nuovo gioco introdotto nelle sale scommesse hanno applicato una piccola percentuale da destinare alle corse. Poi privatizzare il settore. Mani libere senza fondi statali, visto che ai finanziamenti non risponde alcun progetto. All’estero l’ippica italiana piace quasi più che a noi. Borghi: «Ci sono gruppi stranieri che vorrebbero gestire il nostro mondo: potrebbe essere una soluzione». Ma c’è un però: «Se gli stranieri devono combattere con la nostra burocrazia e le nostre divisioni interne la battaglia si fa dura». Per ricevere risposta a qualunque richiesta passa più di un anno e a volte la risposta non c’è neanche. Tutto si pianta come un cavallo di fronte all’ostacolo. Ma vendere a chi dà garanzie resta una strada. Borghi si fida ma non troppo: «Purtroppo quando le cose vanno in questo modo non c’è più volontà di reazione, non c’è nessuno che fa battaglia veramente. Poi il Ministero non risponde mai: con tutto quello che abbiamo chiesto e sollecitato la risposta non c’è. Il ministro Martina non ha mai ricevuto una delegazione ippica. Dovrebbe invece preoccuparsi di non far fuggire le nostre eccellenze, di non svendere il nostro patrimonio». L’urgenza è una riforma del settore ippico, la riorganizzazione della filiera. In teoria la delega per una riforma già esiste ed contenuta nell'articolo 15 della legge 154/2016, il «Collegato Agricolo». Ma bisogna fare presto. Perchè il settore manca quasi di tutto. Professionisti pagati poco e male, impianti in svendita, manutenzione ai minimi, pubblico in fuga, scommesse troppo care. Persino la trasparenza delle corse non è garantita.

«Lo spettacolo che viene proposto è fondamentale - parola di Trentini - Ma con risorse economiche così limitate difficile attrarre spettatori e scommettitori». É una corsa contro il tempo. Ma c’è un’isola del tesoro da salvare.

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