Coronavirus

La storia di Franca e Giuseppe morti insieme mano nella mano

Si chiamavano Franca e Giuseppe, e non sono nomi di fantasia. Perché la fantasia abita i giorni e i posti lieti, non questi giorni, e non gli ospedali, mai, lì ci sono posti letto liberi soltanto per la realtà.

La storia di Franca e Giuseppe morti insieme mano nella mano

Si chiamavano Franca e Giuseppe, e non sono nomi di fantasia. Perché la fantasia abita i giorni e i posti lieti, non questi giorni, e non gli ospedali, mai, lì ci sono posti letto liberi soltanto per la realtà. Si chiamavano Franca e Giuseppe, e dal tempo imperfetto (il tempo è sempre imperfetto, è sempre insufficiente, il tempo non è, ma era) avrete già capito quale sia la loro storia. Si chiamavano Franca e Giuseppe, e hanno vissuto cinquant'anni abbondanti, traboccanti, esaltanti di amore, con due fedi al dito e con una sola fede nel cuore, quella dell'una nell'altro e dell'uno nell'altra. E nei cinquant'anni abbondanti di amore, sia chiaro, è inclusa anche l'ultima settimana, quella dell'agonia.

Li aveva trovati il nipote, volontario della Croce Rossa di Lurate. Erano chiusi in casa, a Oltrona di San Mamette, non distante dall'altro «ramo del lago di Como», barricati come da disposizioni governative e soprattutto da istinto di sopravvivenza, asserragliati per non far entrare il Drago untore e sputafiamme. Ma il fuoco della febbre li aveva già aggrediti. Ed ecco l'ambulanza, i lettighieri, la corsa verso il bianco accecante del «Sant'Anna». Franca era svenuta, e Giuseppe l'aveva abbracciata per sostenerla, come fa ogni cavaliere con la sua dama. Poi li avevano separati, per poche ore, anche se a Giuseppe saranno sembrate un'eternità, o la prova inconfutabile di una morte annunciata. Tamponi, ossigeno, punture sono stati glaciali testimoni a carico che hanno pesato sulla sentenza inappellabile.

Il poco fiato che gli restava, prima di essere attaccato alla bombola, Giuseppe l'ha speso tutto per l'unica causa che conosceva, per chiedere «dov'è mia moglie?». Probabilmente un angelo gli ha risposto: «È qui, vicino a lei, stia tranquillo signore». Negli ospedali non esistono letti matrimoniali, eppure nessuno è singolo, ognuno vale per tutti e tutti valgono per ognuno. Li hanno affiancati, i letti di Franca e Giuseppe. E che cosa fanno, a letto, due innamorati di 89 (lei) e 85 (lui) anni? Tornano bambini, si prendono per mano e aspettano che la fiaba del Drago untore e sputafiamme finisca presto, per morire «felici e contenti».

Forse, un giorno che speriamo prossimo, quella fotografia scattata in un istante imprecisato eppure perenne da Maria Delfine, operatrice socio-sanitaria in servizio al «Sant'Anna», la fotografia di Franca e Giuseppe mano nella mano, come Hänsel e Gretel, ma senza lieto fine, diventerà il simbolo della resistenza al virus, il gesto estremo e altruista di una vicinanza che non conosce soluzione di continuità.

Ma oggi, adesso, nel nostro tempo imperfetto in cui viviamo da sommersi non ancora salvati, è un gesto di pace.

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