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"Mafia Capitale" era una bufala

Carminati, Buzzi & C. condannati: pene pesanti, ma per reati «comuni»

"Mafia Capitale" era una bufala

Mafia capitale non esiste. Roma non è governata da una cupola mafiosa con a capo l'uomo bendato, meglio noto come er Cecato. A Roma operano cravattari e usurai, corruttori e corrotti, una vasta ragnatela criminale che, a ogni cambio di amministrazione, di destra o di sinistra, s'insedia robustamente nella macchina amministrativa. A suon di mazzette. Ma la mafia, quella che non corrompe ma uccide, che occupa militarmente il territorio, che prevede la sacralità del patto associativo, quella non esiste. Il teorema di una mafia autoctona capitolina, nata e pasciuta all'ombra del Cupolone, tenacemente portato avanti dalla procura, viene clamorosamente smentito. «Non possiamo fare professionismo dell'antimafia - ha commentato Giosuè Bruno Naso, legale di Massimo Carminati - Questa sentenza ci dice che la mafia è una cosa seria, se tutto è mafia niente poi è mafia. Perciò dovrebbe essere revocato il 41 bis perché non c'è più la mafia, Carminati ci ha passato 32 mesi, chi glieli ridà?». Come non ricordare che l'avvio delle indagini su Mafia capitale fu annunciato in modo insolito dal procuratore capo Giuseppe Pignatone nel corso di un'assemblea Pd. Enorme clamore mediatico, uno scossone per la già traballante giunta Marino, ma soprattutto un dispiegamento imponente di mezzi investigativi particolarmente invasivi. Reso possibile dalla contestazione della fattispecie più grave, l'associazione mafiosa. Senza mafia, l'inchiesta avrebbe avuto un risalto solo nazionale, Carminati non sarebbe stato sottoposto al carcere duro del 41 bis, la retorica grillina legalitaria non avrebbe animato la campagna elettorale del sindaco Virginia Raggi, ieri presente nell'aula bunker. «Continueremo a lavorare per la legalità», il suo sobrio commento. I partiti sono tutti collusi, scegliete noi, quelli onesti. A quasi due anni dall'inizio del processo, dopo oltre duecento udienze, dieci milioni di documenti, quattro milioni di brogliacci e 80mila intercettazioni trascritte, il tribunale presieduto da Rosanna Ianniello decide di condannare gli imputati a pene inferiori a quelle richieste dalla procura. Ma soprattutto fa cadere l'imputazione di associazione mafiosa. Un atto di coraggio, la pressione mediatica nei confronti dei giudici era asfissiante. Da notare che Luca Odevaine, già vicecapo di gabinetto di Walter Veltroni e direttore della polizia provinciale nominato da Nicola Zingaretti, è stato condannato a sei anni e sei mesi, la procura aveva chiesto due anni. La condanna di Odevaine, insieme a quelle di uomini simbolo dell'amministrazione Alemanno, conferma che il sistema di corruzione andava avanti da anni ed era assolutamente trasversale agli schieramenti politici. Nessun primato morale, dunque.

Nessuna pretesa di superiorità. I magistrati hanno avuto il merito di scoperchiare e sanzionare un consociativismo criminoso ributtante. Se ci avessero risparmiato gli effetti pirotecnici, sarebbe stato meglio per tutti. Per Roma, in primis.

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