Matteo e Luigi, i due manipolatori

Matteo e Luigi,  i due manipolatori

«Parole, parole, parole...». Forse l'analisi più corretta dello scenario politico che si staglia nella campagna elettorale che volge al termine è racchiusa nel ritornello di questa canzone di Mina. Se uno dovesse stare attento e prendere sul serio ciò che dicono Matteo Salvini e Giggino Di Maio, se dovesse prendere per buone le polemiche o dare retta ai mezzi ultimatum, agli ultimatum e ai penultimatum (l'ultimo quello sul decreto sicurezza bis, rinviato da Conte al dopo elezioni in barba al leader della Lega) la crisi di governo avrebbe dovuto aprirsi, non ora, ma almeno tre mesi fa. Ai tempi dello scontro sulla Tav.

Invece, non se n'è fatto niente: i leader della maggioranza gialloverde sono andati avanti con il loro giochetto dando vita a dieci crisi virtuali, dieci crisi congelate, dieci crisi rinviate. Una montagna di parole, appunto, che hanno disorientato opinione pubblica e media. Ci sono giornali che hanno scritto più volte epitaffi sul governo. E quotidiani che in prima pagina raccontano la previsione di Salvini «il governo andrà avanti» e in quarta promettono «la crisi». Una narrazione paradossale che, involontariamente, sputtana la politica e il suo vocabolario, che potrebbe essere solo frutto del pressappochismo e dell'incompetenza dei protagonisti.

Ma fino a un certo punto. Perché forse - e il forse va meditato - in una politica alla mercé di leader che giocano tutto sulla comunicazione; che, addirittura - basta guardare il numero di dirette Facebook e di selfie quotidiani - sono drogati di comunicazione, potremmo anche essere in presenza di una grande «manipolazione». «Parlano di una crisi di governo che non verrà - osserva Michele Anzaldi, curatore di tante campagne elettorali del Pd -: hanno creato le condizioni per cui se sei a favore del governo voti entrambi; se vuoi far fuori Salvini voti Di Maio; se, invece, vuoi far fuori Di Maio, voti Salvini». «Nel day after del voto europeo non succederà niente - insinua Filippo Sensi, già uomo ombra di Matteo Renzi - ci accorgeremo tutti di essere stati vittime di una grande stangata: dalle opposizioni ai giornali».

Ora, per essere chiari, anche questa è una previsione. Magari vera, magari no. Ma a parte ciò, la grande «manipolazione», se di questo si tratta, ha già avuto i suoi effetti: nella stanza delle alchimie della maga Ghisleri, infatti, anche se la provetta verde diminuisce mentre aumenta di mezza linea quella gialla, alla fine il risultato della miscela gialloverde supera sempre il 50%. E questo mentre il numero degli italiani che pensa di stare peggio rispetto allo scorso anno, continua ad aumentare: ora tocca il 60%.

Insomma, siamo di fronte a una contraddizione palese, a meno che non ci si renda conto come con il giochetto della «crisi non crisi», di quelle virtuali o rimandate, Salvini e Di Maio siano riusciti a essere «alternativi a se stessi», siano riusciti a convogliare su se stessi il consenso non solo dei fan del governo, ma anche di quelli che ne vorrebbero uno diverso. I motivi sono semplici: ubriacano gli italiani di parole (tante), nascondendo i fatti (pochi); giurano fedeltà al governo, ma nel contempo sparano a palle incatenate contro gli alleati. Risultato: chi vuole evitare un'ipotetica involuzione a «destra» del Paese, tra le opzioni ha anche il voto ai cinquestelle; chi non ne può più dell'incompetenza grillina può, invece, pure scegliere Salvini. Proclami roboanti e accuse pesanti, infatti, hanno fatto dimenticare a molti la sostanza delle cose: cioè che grillini e leghisti governano insieme e, probabilmente, lo faranno pure dopo le europee. Alla faccia di quel 60% di italiani che dopo un anno in «gialloverde» è convinto di stare peggio.

La verità è che se Salvini avesse voluto la crisi, l'avrebbe già fatta. Avrebbe puntato a fare le elezioni politiche insieme alle Europee. Ha avuto tante occasioni sprecate. È da tempo che tutto il gruppo dirigente del Carroccio morde il freno: «Sono l'unico nella Lega - è la frase del vicepremier riportata su questo giornale il 13 gennaio scorso - che vuole continuare nell'alleanza con i cinquestelle». Ma in sei mesi non è successo niente. O meglio, ora la strada per un cambio del quadro politico o delle elezioni è sicuramente più complicata. Spiega Giancarlo Giorgetti, il più «antigrillino» tra i leghisti: «Fino a tre settimane fa andava bene, ora non si può più andare avanti così. Dopo le Europee soppeseremo il consenso che abbiamo nel paese e decideremo le cose da fare. A cominciare dalla Tav».

A prima vista appare un ultimatum, ma se fai un giro nelle segrete stanze grilline, dove già solo l'ipotesi delle elezioni anticipate è vista con terrore, ti accorgi che non è così: dal 27 maggio in poi, scongiurata l'ipotesi di scendere sotto la soglia del 20%, il vertice cinquestelle sarà più che disponibile a trovare un'intesa sulla Tav, sul decreto sicurezza o su altro. Non darà un pretesto a Salvini per aprire la «crisi».

A rendere tortuosa, poi, la strada verso il voto ci saranno le inchieste che incombono sulla Lega: può Salvini rischiare una campagna elettorale senza sapere cosa gli riserva una magistratura che in alcuni settori ha un forte feeling con i grillini? E, se non bastasse, c'è anche la «tempistica» a creare ulteriori ostacoli: dal 15 luglio in poi si deciderano i nomi dei nuovi commissari europei, se il governo fosse dimissionario l'Italia conterrebbe meno della Grecia. Ed ancora, per usare la tesi di Cottarelli di un anno fa che favorì la nascita del governo Conte, se il Paese si ritrovasse senza governo in estate, in un periodo in cui sui mercati ci sono pochi scambi, basterebbero pochi miliardi per mettere in ginocchio i titoli di Stato italiani. Ed infine, se si arrivasse alle elezioni a ottobre (la data più probabile) alla vigilia di una legge di bilancio drammatica, Salvini e Di Maio darebbero l'impressione di avere portato l'Italia sull'orlo del precipizio, per poi scappare: farebbero la figura del comandante Schettino.

Soppesando «pro» e «contro» è probabile, quindi, che Salvini per colpa di tanti errori abbia già perso l'«attimo fuggente» per andare a elezioni anticipate. Gli scontri e le minacce della campagna elettorale difficilmente possono essere considerati l'anticipo della crisi di un governo che non funziona, ma solo gli strumenti di due leader spavaldi - e irresponsabili - che affidano il loro destino esclusivamente alla «comunicazione».

Qualche giorno fa, nello studio della 7, Silvio Berlusconi, a cui tutti riconoscono i merito di avere rivoluzionato la comunicazione politica nel Bel paese, ha stretto la mano a Di Maio: «Volevo farti i complimenti perché sai comunicare».

Il vicepremier grillino, un attimo dopo ha confidato ai suoi: «Sarebbe stato meglio se avessi risposto con una battuta». Ma uno dei consiglieri ha scosso la testa: «Meglio di no, su quel terreno il Cav ti avrebbe subito segato». Già, meglio non osare.

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