I bambini di Bibbiano

Bibbiano, ora parla l'ex giudice: "Così funziona il sistema affidi"

I servizi sociali riuscivano a togliere i bambini alle famiglie grazie al Tribunale dei Minori

Bibbiano, ora parla l'ex giudice: "Così funziona il sistema affidi"

False relazioni, accuse infondate, pretesti inconcepibili per togliere i bambini alle proprie famiglie. Ne ha viste tante, troppe l’ex giudice Francesco Morcavallo che, da settembre 2009 a maggio del 2013, ha prestato servizio al Tribunale dei Minori di Bologna. Testimone diretto dell’operato dei "diavoli" della Val d’Enza, i servizi sociali finiti sotto accusa nell’inchiesta “Angeli e Demoni”. Fu proprio lui, assieme ad altri due colleghi, a denunciare le irregolarità del sistema degli affidi dei minori.

“Abbiamo fatto degli esposti su anomalie enormi", ci dice al telefono l’ex giudice, che denuncia: “Sparivano fascicoli. Noi decidevamo di riassegnare i bambini alle famiglie naturali ma, le nostre decisioni venivano revocate da altri giudici. Noi mandavamo i bambini a casa e, dopo poco, venivano riportati via”. Un altro tassello inquietante si aggiunge al caso Bibbiano. Qualcosa, anche al tribunale dei minori, non funzionava e, a quanto pare, continua a non funzionare.

Almeno secondo l’ex giudice Morcavallo. “Quando arrivano le segnalazioni dei servizi sociali non c’era e non c’è una verifica. Il giudice deve verificare due cose, che la relazione contenga dei fatti che giustifichino le valutazioni e che quei fatti siano veri. Il giudice deve accertare i fatti per capire se deve provvedere e come farlo.” Segnalazioni fatte da Morcavallo che, proprio per questo, è stato punito. “Ci sono stati dei veri e propri provvedimenti nei miei confronti poi, successivamente, annullati dalla cassazione. L’ex giudice è un fiume in piena. Dopo le anomalie ha deciso di lasciare il tribunale dei minori. Troppe cose non tornavano. “Non ce la facevo più. É doloroso trovarsi ad operare consapevole di essere al centro di un sistema del genere, senza riuscire a fare niente. É disumano. Ho dovuto dimettermi.”

Morcavallo ha più volte lanciato grida d’aiuto. “Io e altri due colleghi abbiamo denunciato tutto al Csm, alla Procura Generale, alla Corte di Cassazione, a tutte le autorità di garanzia. Ma nulla. Nessuno si è mosso. Per fortuna ci ha pensato la procura di Reggio Emilia". Ma, per Morcavallo, che è tornato a fare l’avvocato e a difendere le famiglie “abusate”, “il problema è che in queste istituzioni operano gli stessi referenti politici dei gestori di questo sistema assurdo". Istituzioni, il cui compito sarebbe quello di vigilare. Verificare che i giudici controllino i fatti. E che, invece, secondo le parole di Morcavallo, i fatti se li facevano sfuggire o, nella peggiore delle ipotesi, li coprivano. "Ha sentito un magistrato, un presidente di un tribunale, un componente del Csm, chiedere scusa? Non dico dimettersi. Solo chiedere scusa. Non è stato fatto. Qualcuno è arrivato persino a dire “io sono la vittima”, che credo sia anche offensivo per le vere vittime di questo sistema".

Ecco come funzionava il sistema

“Facevano subito un provvedimento urgente che, come minimo, era di affido del bambino ai servizi sociali. Questo è come dire ai servizi sociali da questo momento tu, fai quello che vuoi. Sottoporre il bambino a terapie, fagli fare dei percorsi in cliniche diagnostiche, terapie psicofarmacologiche, molto spesso addirittura lo allontanavano - dice l’ex giudice - disponevano che venisse portato in una casa-famiglia.”

Da lì iniziava l’inferno delle famiglie. Fatto di controlli, terapie, visite mediche e, a volte, anche di lunghi processi penali. Processi che spesso finivano per non risolvere la situazione. Tanto che, come testimoniano i genitori nelle storie che vi abbiamo raccontato, molte volte nonostante l’assoluzione del padre o della madre nella sala di tribunale, i bambini restavano affidati ai servizi sociali. Perché se le accuse degli psicologi nei confronti dei genitori venivano smentite quei bambini non tornavano a casa? Semplice. “Innanzitutto, la verifica del tribunale dei minori è autonoma da quella del tribunale penale ed è molto più lenta. Ma il punto è che subentrano degli altri fattori di valutazione che non dovrebbero subentrare.” Il procedimento riparte da zero, con ulteriori verifiche e periodi di osservazione. Ma, soprattutto, nuove relazioni che suggeriscono la decisione da prendere. “Il punto è che le relazioni vengono fatte dalle associazioni che seguono il bambino preso in causa, dalla casa-famiglia in cui vive… dagli stessi che hanno tutto l’interesse che la situazione rimanga invariata, che non vogliono che il bambino torni a casa. I soggetti sono gli stessi che sperano che gli affidamenti siano tanti e lunghi", afferma ancora l’ex giudice.

Insomma, perfino dopo le sentenze dei tribunali gli assistenti sociali erano liberi di continuare la loro battaglia per portare avanti i propri interessi. E a conferirgli il potere erano proprio i giudici del tribunale dei minori. Così, d’altronde, dice la legge. "Il potere glielo danno i giudici - spiega Morcavallo - L’assistente sociale di per sé non ha uno strumento per fare questo certo tipo di cose. O, comunque, non ha uno strumento per farle in modo durevole. L’unica cosa che consente la legge, oggi, all’assistente sociale è la possibilità, in caso di emergenza, di prendere un bambino e allontanarlo dalla famiglia ma per il periodo dell’urgenza. Vale a dire massimo pochi giorni. Periodo che, per essere prolungato necessita di una decisione di un giudice. I terapeuti, gli psicologi, non hanno assolutamente gli strumenti giuridici per costringere la famiglia a soggiacere a quel trattamento".

Ma i giudici sapevano o non sapevano cosa si nascondeva sotto le false relazioni lasciate passare senza la minima esitazione? Al momento non ci è dato saperlo. “In ogni caso è comunque grave. - Ci tiene a sottolineare l’ex giudice - A un giudice che dorme io non affiderei neanche una bambola, figuriamoci un bambino…". Ma per Morcavallo l’alibi della buona fede lascia il tempo che trova. "Mi domando solo se sia possibile che dormissero se sono dieci anni che gli viene detto che non devono fare in questo modo, che non devono prendere per buona la relazione, ma devono verificare i fatti". In Italia, ma soprattutto a Bologna dove, i casi di bambini strappati illegalmente alle proprie famiglie, ce ne sono stati tanti.

Oggi come in passato.

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