"Non sono un rottamatore io aggiusto e sviluppo. E non vendo niente"

"Il Corriere ha grande futuro e per questo fa molta invidia. Sul mercato sono compratore."

"Non sono un rottamatore io aggiusto e sviluppo. E non vendo niente"

Come d'accordo, al termine del consiglio di Rcs che ieri ha approvato la semestrale, Urbano Cairo risponde al telefono: il 3 agosto del 2016, conclusa la vittoriosa scalata al Corriere, il cda di Rcs la nominava presidente e ad. Sono passati 5 anni.

Qual è il suo bilancio?

«Nel semestre Rcs registra un incremento dei ricavi di oltre 100 milioni rispetto al 2020 e dal lato dei margini un «ebitda» di 68 milioni, 10 volte tanto quello dell'anno scorso. Sono due numeri che dicono tutto: mostrano un'utilità marginale del 60%. È come dire che per ogni 100 euro di ricavi, 60 sono di margine. Secondo me è un punto chiave della salute economica di Rcs.

E i debiti?

«La posizione finanziaria è negativa per 55,9 milioni, che però vanno confrontati con un perimetro differente e con la costituzione interna di Cairo Media. Al netto di queste variazioni è come se fosse negativa di 30 milioni. E a fine anno sarà positiva. Questo significa che in 5 anni abbiamo restituito alle banche 400 milioni, oltre ad averne distribuiti 46,8 in dividendi e recuperato circolante in eccesso per 30 milioni: quasi 500 milioni di creazione di cassa».

E com'era la situazione prima dell'Opa?

«Nel 2016 c'era un'azienda che aveva 430 milioni di debiti, che nei precedenti 5 anni aveva accumulato 1,3 miliardi di perdite. Oggi lo stesso gruppo ha debiti quasi a zero, non ha più bisogno di banche per finanziarsi (a meno di fare nuove acquisizioni) guadagna (38 milioni netti nel primo semestre), produce 80-90 milioni di cassa l'anno, e tutto questo senza tagli al personale (oltre 3mila persone), senza aver venduto attività significative, e avendo recuperato la sua leadership: il Corriere vendeva meno di Repubblica in edicola; oggi tra edicola e digitale vendiamo 90mila copie in più di cui 50mila in edicola. E la Gazzetta torna in salute grazie alla ripresa dello sport e alla riapertura dei bar».

Continuerà a non tagliare?

«Non prevedo tagli, anzi. Io guardo al futuro in maniera positiva. E quello che vedo mi dà ragione: siamo usciti dal 2020 del Covid con grande velocità. Certo il mercato non è facile, ma noi abbiamo rimesso a punto le nostre testate, italiane e spagnole, abbiamo spinto sul digitale, spingiamo su prodotti e pubblicità, tanto sul digital advertising, che cresce del 40% in Italia e 48% in Spagna. Abbiamo assunto molti giovani sull'online, 70 persone; e stamane ne ho approvate altre con il direttore del Corriere Fontana».

Molto ottimista. Pensa che il Pnrr possa essere un nuovo piano Marshall?

«Credo che avere Mario Draghi al governo, con una serie di ottimi ministri in posizione chiave, sia una grande garanzia per la crescita e per la qualità degli investimenti che potremo fare con i fondi europei. Io sono molto positivo».

Eppure nell'aprile 2020, nell'ultima intervista al Giornale, lei ha definito il governo giallorosso «in grado» di far fronte alla pandemia, ritenendo «incomprensibile» una crisi di governo. Ha cambiato idea?

«Allora non potevo immaginare che fosse disponibile a scendere in campo e servire il Paese un uomo con le qualità e la credibilità internazionale di Draghi. È chiaro che Draghi è il meglio che si potesse sperare e sta dando un contributo fondamentale per uscire dalla crisi. Ma in quel momento eravamo ai minimi termini e credo che fosse giusto tenere la barra al centro ed evitare crisi di governo».

Draghi deve arrivare a fine legislatura 2023 o pensa che sia meglio vederlo al Quirinale e anticipare le elezioni al 2022?

«Sicuramente se resta è importante per il Paese, come lo sarebbe anche da Presidente della Repubblica. Di certo sta facendo un grande lavoro e la campagna vaccinale, guidata dal Generale Figliuolo, è fondamentale: è una polizza assicurativa sulle nuove ondate e per evitare altri stop all'economia».

Il problema del Paese è il declino della classe dirigente, concorda? È un fenomeno che riguarda solo la politica o anche altri settori?

«Mi pare un giudizio riduttivo. Credo che non solo in Italia, ma anche all'estero, ci sia un gran rimpianto del passato, la tentazione di fare di tutta l'erba un fascio. Ma se guardiamo a come si è evoluto il Paese le cose hanno fatto passi da gigante in tutti i settori rispetto a un po' di anni fa».

Torniamo al Corriere: Blackstone chiede 500 milioni a Rcs in una causa a New York per la cessione della sede di via Solferino. Nel bilancio continuate a non fare accantonamenti. Perché?

«Sentendo i nostri legali, in Italia e Usa, e dopo aver anche chiesto un parere terzo, ai professori Toffoletto e Reboa che hanno visto le carte, la cosa è stata esclusa. Si ritiene che la causa sia infondata e che non ci sia la competenza territoriale. Inoltre Rcs si è comportata in modo corretto e l'arbitrato ha riconosciuto che non c'è stata alcuna azione temeraria. E che l'immobile valeva 33 milioni in più, e non è poco».

A Blackstone sono offesi per essere stati accusati di usura nella cessione di via Solferino. Se tornasse indietro rifarebbe tutto?

«L'arbitrato nasce in seguito a una due diligence interna durata alcuni mesi. Abbiamo segnalato agli acquirenti dell'immobile che secondo noi c'era uno squilibrio tra valore e prezzo pagato (120 milioni). Di fronte all'indisponibilità a ragionare su questo siamo andati avanti e abbiamo azionato l'arbitrato. Io l'ho fatto a tutela di tutti i soci di Rcs, era un atto dovuto dopo la due diligence. Al momento non ci ha dato ragione, non abbiamo avuto un danno liquidato. Ma ritenere di avere un diritto e cercare di affermarlo credo che sia giusto e che non ci sia niente di cui pentirsi».

Ci sono problemi di convivenza con i vecchi soci Rcs rimasti nel capitale?

«A volte possono esserci idee diverse, ma i rapporti sono ottimi con Alberto Nagel di Mediobanca, Carlo Cimbri di Unipol, Diego Della Valle e anche con Marco Tronchetti Provera. Poi è sano avere opinioni differenti. Il fatto che dal cda si sia dimesso Gaetano Micciché, un amico al mio fianco nell'Opa del 2016, mi è spiaciuto. E mi dispiace che si dica che non abbiamo buoni rapporti con Intesa, dove io stesso ho depositi importanti. Ho apprezzamento e fiducia in questa banca».

Con la scalata al Corriere lei è stato il rottamatore dei salotti buoni. Adesso sembrano essercene altri due, Leonardo Del Vecchio e Francesco Gaetano Caltagirone, all'attacco di Mediobanca e Generali. Con loro ha buoni rapporti?

«Ma io non sono stato un rottamatore. Io semmai sono un aggiustatore, non ho mai mandato via nessuno, anche a La7 (che prima che la rilevassi perdeva 100 milioni l'anno), ho sempre confermato tutti in Rcs e ho risanato. Aggiustatore e sviluppatore. E non credo che neanche loro siano rottamatori, sono imprenditori che investono dove vedono opportunità. Ma non ho particolari rapporti: Caltagirone l'ho visto una volta, Del Vecchio non l'ho mai conosciuto personalmente».

Il Corriere resta uno straordinario strumento di potere. Si sente accerchiato?

«Credo ci siano in giro un po' di forzature: scrivere di situazioni problematiche che tali non sono può far piacere a qualcuno, ma questa azienda è economicamente e finanziariamente sana e solida. Forse per questo è invidiabile, perché è la migliore del settore».

Ma è vera la vulgata che lei non paga i fornitori di Rcs?

«Quando sono entrato in Rcs ho trovato una certa situazione di scaduti. Da allora paghiamo circa 500 milioni di fornitori l'anno. In 5 anni 2,5 miliardi. E lo scaduto attuale è in linea con quello del 2016, anche un poco migliore. Poi non si dimentichi che abbiamo anche i crediti, e c'è stata una tendenza a ritardare un po' da entrambe le parti. Il resto sono leggende metropolitane. Certo ci sta che quando arrivi per la prima volta in un gruppo come questo cerchi di capire: perché debiti così elevati? Una volta capito, abbiamo mantenuto un trend costante di pagamenti».

Lei ha più del 60% di Rcs: potrebbe diluirsi? O addirittura pensare di vendere?

«Non vedo perché. Quando abbiamo scalato l'azienda avevamo un'idea chiara delle cose da fare. Io oggi sono felice così.

E, anzi, non ho intenzione di vendere neanche le azioni sopra il 51% perché questo gruppo avrà un futuro spettacolare. Semmai sono un compratore, non un venditore. Di giornali. Anche in Italia. Stiamo guardando cose interessanti. Senza fare nomi però».

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