Il piano della fronda contro Conte

Il piano della fronda contro Conte

Mentre si avvia verso l'aula di Montecitorio con gli inconfondibili passi lunghi tipici dei giganti del basket, Giancarlo Giorgetti, l'unico leghista che alla possibilità delle urne anticipate in Primavera non ha mai creduto, commenta con il distacco dell'ironia la «spallata» mancata di Salvini: «Se è fallita la spallata?! Vorrà dire che ci accontenteremo dello sgambetto». Tutto da rifare: ormai con la fissazione del referendum sulla diminuzione dei parlamentari il 29 marzo la finestra elettorale si è chiusa e la Lega, come tutto il centrodestra, ha bisogno come il pane di un'altra linea, di un piano B che sollevi il morale delle truppe deluse. Solo che è difficile inventare un progetto alternativo per far fuori l'attuale governo. Intanto perché il Capitano è monocorde; in secondo luogo perché i tempi rischiano di essere lunghi e l'approdo ad una legge elettorale proporzionale potrebbe rivoluzionare strategie e riferimenti. «Brunetta osserva Riccardo Molinari, capogruppo dei deputati del Carroccio propone un gioco di Palazzo per far fuori il governo Conte, puntando su Renzi o sui fuoriusciti grillini, ma Salvini non ci starà mai. Contemporaneamente, però, abbassando il numero dei parlamentari questa legislatura si blinda e rischiamo di essere inermi fino al 2023. Un'eternità in politica. Rischiamo di risvegliarci in un mondo diverso. In queste condizioni potremmo pensare anche di trasformare il referendum sulla diminuzione dei parlamentari, in un referendum contro il Governo, solo che portare la gente a votare per mantenere gli stessi posti per deputati e senatori sarà complesso».

La situazione è complicata e le idee sono poche. Per tutta l'opposizione. L'altro giorno ad Arcore Silvio Berlusconi ha chiesto lumi sul risultato di Forza Italia in Emilia (2,8%) e i responsabili hanno dato la colpa ai sabotaggi dell'ex coordinatore regionale, Massimo Palmizio. Un po' poco, tant'è che il Cav ha commentato il tutto con una punta di sarcasmo: «Visto che mi dite che va tutto bene, esporteremo il modello emiliano anche in Veneto». Osserva la siciliana Gabriella Giammanco, mettendo in relazione la vittoria del partito in Calabria e la sconfitta in Emilia Romagna: «Berlusconi non ha capito che Forza Italia sopravvive ancora solo per i voti del Sud». Per non parlare di Vittorio Sgarbi, che dopo il magro risultato da capolista azzurro in Emilia accarezza l'idea, nello stile di «genio e sregolatezza», di proporsi ai grillini come capo politico al posto del dimissionario Di Maio. «Grande trovata» lo ha incoraggiato con gusto il capogruppo dei deputati del Pd, Graziano Delrio.

Ironia, sarcasmo, battute di spirito: per consolarti dell'esito poco esaltante di una spallata, che invece di tirar giù un governo, ti ha slogato una clavicola, puoi solo ricorrere alla filosofia o, magari, consolarti con le nomine di partito per serrare le fila (il Carroccio nella prossima assemblea federale nominerà i capi dipartimento, più o meno come i grillini si sono inventati «i facilitatori»). Tanto più che fallito il piano l'opposizione rischia di arrivare disarmata ad appuntamenti importanti, dalle nomine delle grandi aziende pubbliche all'elezione del capo dello Stato. E, complice l'approdo al proporzionale, pure divisa. Senza contare che quando sei debole in Italia ti può capitare di tutto. «Capisco Salvini e anche la sua foga di vincere in Emilia per avere le elezioni», spiega Luca Paolini, il più garantista dei leghisti: «Comprendo, anche se non lo condivido, l'errore di citofonare al presunto spacciatore. La verità è che lui doveva tentare il tutto per tutto, perché quando sei fuori dai giochi c'è sempre dietro l'angolo la congiura giudiziaria».

Ora, però, che il piano del Capitano è fallito, è difficile escogitarne altro. Come minimo, per scombussolare la situazione, dovresti trovare degli interlocutori nella maggioranza. «Dobbiamo inventarci un'altra opzione congettura il vicesegretario della Lega, Lorenzo Fontana -, dobbiamo individuare degli interlocutori e far esplodere le contraddizioni che ci sono nella maggioranza. Solo che è difficile visto che i 5stelle non hanno più un capo e, comunque, questa legislatura andrà avanti sulla contraddizione che il principale partito presente in Parlamento è morto nel Paese. Saranno i fantasmi grillini a decidere le nomine e il presidente della Repubblica». Tutto vero, solo che a questo punto è complicato cambiare spartito. Colpa anche di chi ha giocato un'intera partita coltivando solo l'opzione elettorale. Un mese fa nelle comunicazioni segrete tra i due Mattei, Renzi aveva immaginato di creare un rapporto privilegiato con il Carroccio a cominciare dal tema giustizia. Salvini, invece, in quell'occasione svicolò: «Il problema dei giudici fu la risposta del leader leghista - lo risolverò quando sarò al governo». Stesso atteggiamento il Capitano assunse sulla proposta di Giorgetti di aprire un tavolo che coinvolgesse tutti per portare il Paese fuori dalla crisi. All'epoca i vari leader della maggioranza erano disponibili visto che i punti interrogativi sulla durata del governo si sprecavano. Ora, invece, meno: in un quadro «stabilizzato» è difficile che chi è nella sala dei bottoni accetti le avances che arrivano dall'opposizione. Semmai può avvenire il contrario, cioè che chi è al governo aumenti il proprio peso prendendo pezzi di opposizione, o concordando con essi un atteggiamento «più responsabile» nell'intento di dividerla. Operazione facile quando devi decidere con le nomine la nuova mappa del potere nel Paese.

E come antipasto di ciò che avverrà quando si approderà ad una legge proporzionale, come prolegomeni di un probabile rimescolamento di alleanze e avversioni, nell'opposizione ognuno tratta per sé. Gli uomini della Meloni, ad esempio, hanno aperto un canale di comunicazione diretto con l'amministratore delegato della Rai, Salini, facendo arrabbiare la Lega. «Hanno un rapporto privilegiato sulle nomine con lui», spiega Paolo Tiramani. Ma, ovviamente, gli interlocutori principali sono nella linea di confine tra maggioranza e opposizione. Conte ha contatti continui con «i responsabili» che non vogliono neppure sentire parlare di elezioni e con quella parte di Forza Italia che più soffre i rapporti con la Lega, a cominciare dal plenipotenziario del Cav, Gianni Letta: la legge elettorale e le nomine sono un proficuo terreno di confronto. Il premier coltiva anche una frequentazione con l'area post-dc del centrodestra. «Certo per me è più facile ammette Gianfranco Rotondi conversare con chi ha letto Jacques Maritain come Conte, che con quelli che non sanno neppure chi sia, come Salvini o la Meloni. Tanto più che con il proporzionale alle elezioni ci si va come centro non più come centrodestra».

E, naturalmente, la relazione che il premier tesse con l'area centrista nelle sue mutevoli forme, infastidisce non poco chi, presidiando quel territorio nell'area di governo, si sente l'interlocutore naturale di quei mondi, cioè Matteo Renzi. «Questi non hanno capito confida l'ex segretario del Pd che Conte non toccherà palla e dopo le prossime regionali sarà morto. Io, invece, sarò sempre qua». Un messaggio a cui aggiunge una serie di corteggiamenti che potrebbero far approdare altri quattro parlamentari forzisti ad Italia Viva.

Insomma, se non si dà una mossa, se non ha un colpo di fantasia, l'opposizione rischia. In fondo in politica la storia è vecchia come il cucco e il divo Giulio la conosceva a menadito: il potere logora chi non ce l'ha, specie se non ha una strategia.

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