"Procedure ridondanti. Si potevano salvare vite con poche istruzioni"

Il presidente dei geologi, Arcangelo Francesco Violo: piani chiusi nei cassetti. Serve preparare la gente per i casi di emergenza

"Procedure ridondanti. Si potevano salvare vite con poche istruzioni"

Arcangelo Francesco Violo, presidente dell'Ordine dei Geologi, tutti sapevano ma nessuno si è mosso per tempo. Eppure la tragedia di Senigallia non è solo colpa del maltempo.
«Se fossero state costruite le vasche di laminazione, avrebbero contribuito ad attenuare il disastro. Ma non solo. Nelle aree a rischio idrogeologico è importante effettuare interventi di manutenzione ordinaria, come ad esempio la pulizia del letto dei fiumi. E poi bisogna rendere il versante sicuro, evitando che una piena porti con sè detriti, tronchi e tutto ciò che incontra per strada diventando ancora più devastante. Invece non è stato fatto alcun intervento del genere».

C'erano le mappe del rischio, c'erano i progetti. Perché è rimasto tutto sulla carta per così tanto tempo?
«Spesso, come in questo caso, ci sono anche i finanziamenti ma non vengono spesi in tempo. Le procedure sono ridondanti e c'è troppa frammentazione delle competenze tra enti».

Quindi i plichi di documenti non hanno fatto che rimbalzare da un ufficio all'altro?
«Con i decreti di semplificazione, le cose sono più veloci ma per anni pianificare in regime ordinario è stato impossibile, lo si è sempre fatto in regime straordinario e quindi spendendo molti più soldi. I piani sul rischio idrogeologico devono essere aggiornati, cosa che non viene fatta ovunque. E soprattutto, quando ci sono come in questo caso, non devono restare chiusi in un cassetto».

Qual è il senso delle cartine aggiornate se poi nessuno le considera?
«Esistono dal 1998-2000 e sono state volute per legge dopo l'alluvione in Campania proprio per evitare sciagure del genere senza preallarme. In questi anni sono anche state usate, ma solo per stendere piani regolatori o approvare progetti di edilizia privata».

Se la gente nei paesi fosse stata avvisata per tempo, ce l'avrebbe fatta?
«Non solo per tempo. Quelle persone, proprio perchè abitano in aree ritenute a rischio da anni, avrebbero dovuto ricevere un'educazione civica. Qualcuno avrebbe dovuto organizzare un corso per spiegare che non si deve assolutamente scendere in garage quando l'acqua sale. Ma piuttosto bisogna salire ai piani alti, se possibile sul tetto. E chi si trova in macchina per strada, deve sapere quali strade imboccare per mettersi in salvo, senza andare incontro all'acqua. Insomma, tutti devono conoscere il piano d'emergenza. Il 50% delle morti durante le alluvioni avviene proprio per questi errori. Ma ovviamente la colpa non è del singolo cittadino».

Ma è possibile che all'origine di tutti i mali ci sia la lentezza burocratica?
«Manca il collegamento con il territorio. Ci devono essere presidi gestiti dal Comune. Solo così si può intervenire in tempi rapidissimi e salvare vite. Noi geologi chiediamo che parte dei soldi disponibili per mettere in sicurezza i fiumi servano a formare squadre di tecnici in ogni comune a rischio e a preparare i cittadini in caso di emergenza».

L'Italia rischia altre alluvioni del genere?
«Il maltempo

è sempre più violento e il 90% del territorio italiano presenta aree a rischio frana, alluvione o erosione della costiera. Per questo i piani sul rischio idrogeologico devono essere aggiornati. E soprattutto utilizzati».

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