Con una sorridente faccia da impunito Donald Trump scandisce per la prima volta parole di scusa, riferendosi alle numerose aggressioni verbali del passato: «Believe it or not, I regret it»: che ci crediate o no, ne sono pentito. L'ironia trumpiana sta nel suo candore: in quel «che ci crediate o no». La folla del buio scantinato in cui parla a Charlotte, North Carolina, scoppia in una risata, poi in un applauso complice, come dire: «Non chiederci di crederci, ma siamo pronti a fare finta». Le parole pronunciate da Trump erano state pesate col bilancino dalla nuova squadra che dirige la sua campagna. Ma più delle parole colpiva l'espressione beffarda di un Trump che quasi ride di se stesso ammiccando a un pubblico che apprezza il suo teatro. Se per la prima volta Trump ha chiesto scusa, una ragione c'è: il partito repubblicano ha visto crollare nei sondaggi non soltanto le quotazioni del candidato alla Casa Bianca, ma anche quelle del partito nel suo complesso. Il che significa che alle elezioni di novembre molti candidati repubblicani al Senato, al Congresso e per la carica di governatore rischiano di essere travolti con lui e per causa sua. Hillary Clinton, per quanto detestata, è largamente in testa.
Le parole di scusa di Trump hanno richiesto un sacrificio umano: quello di Paul Manafort, ex manager generale della campagna repubblicana e al centro di polemiche. Il partito ne ha chiesto la testa e Trump l'ha servita senza batter ciglio, insieme a quel genere di scuse cui potete credere. Oppure no.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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